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Fondazione Padula. L’intervista. Ecco i motivi delle dimissioni del vice presidente Angela Spina

Foto © Acri In Rete
Redazione
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Sette anni. Questo il tempo in cui Angela Maria Spina ha ricoperto il ruolo di vice presidente della Fondazione Padula prima delle dimissioni ratificate qualche giorno fa. Acrinrete l’ha incontrata per saperne di più.
Professoressa Spina, prima le critiche al convegno sulla figura di Arena poi le dimissioni. Noi abbiamo paragonato tutto ciò ad un terremoto.
Tu mi insegni che i terremoti hanno origine dalle forze elastiche che governano il sottosuolo, quelle che spostano le masse rocciose e sotterranee del pianeta rompendo il punto di equilibrio, io, invece, come similitudine preferirei quella del maremoto, cioè delle onde anomale che sollevano le acque propagandole in tutte le direzioni. Concedimi di fare riferimento ad un celebre verso di Virgilio, “Rari nantes in gurgite vasto”, pochi naufraghi che nuotano nel vasto gorgo, immagine certamente molto efficace per rendere una degna rappresentazione della situazione. Clima indubbiamente concitato, non lo nego, ma io sono molto serena e divertita. Ho sempre pensato che per realizzare cambiamenti ci si dovesse naturalmente avvalere della politica, la buona politica quella fatta di scelte chiare e idee ben salde, svolte in ragione della realizzazione di obiettivi intelligenti e audaci, che potessero arricchire e far sviluppare un territorio, magari svegliarlo dai sonni dogmatici, per assicurargli una migliore qualità di vita. Ma non se ne ravvede l’ombra ormai da tempo. La politica si connette con i livelli culturali che esprime e rappresenta. Riflettere perciò sul ruolo che cultura, la letteratura, la filosofia e le arti possono e debbono avere per il risveglio civile del nostro paese e per la lotta contro le varie forme di criminalità, è un atto dovuto non un gesto di generosa benevolenza. Ma la politica ha deluso tutti non solo me proprio perché non si è saputa connotare come buona politica. Personalmente continuo a credere solo nelle buone idee che marciano sulle gambe di chi ha il coraggio di farle avanzare nonostante possano rivelarsi idee scomode e spigolose, che però sanno affrontare e interpretare criticità e disagi.
Lei si è contrapposta, con coraggio, al gota della Fondazione.
Sono una cultrice dell’undicesima tesi di Marx su Feuerbach “i filosofi hanno interpretato il mondo, ora occorre cambiarlo” dovremmo tutti in qualunque modo iniziare a fare qualcosa, perciò confido che si possa cominciare proprio dalle mie dimissioni per comprendere quanto serio ed indispensabile sia iniziare finalmente ad occuparsi di cultura e di più consistenti livelli culturali in questo territorio. Dopo un tempo sufficiente a comprendere illusioni, disillusioni e impossibilità di incidere fattivamente, ho realizzato che contribuire al segno della modernizzazione e del cambiamento, che auspico possibile, praticamente è del tutto impossibile. Dunque ho maturato la ferma e decisa volontà di rassegnare le mie dimissioni non solo per le evidenti circostanze recenti e le incompatibilità personali ed ambientali venutesi a determinare ma perché è del tutto deflagrato il significato del rispetto per le idee e gli uomini deragliando verso insolvibili contraddizioni che nulla hanno a che spartire col mio modo di sentire e vivere le cose. C’è nella Fondazione l’incapacità a non sviluppare a più largo raggio la condivisione e l’organizzazione. L’isolazionismo è funzionale all’autoreferenzialità che è direttamente proporzionale ad una visione elitaria, esclusiva e riservata solo ad un certo tipo di intellettuali e uomini di cultura, per lo più tutti troppo distanti e profondamente lontani da Acri e dalla propria società civile. Questo era ed è allo stato attuale un solco incolmabile, che si è tramutato in sempre maggiore distanza tra aspirazione, partecipazione ed attese. Uno spreco ed un ingiustificabile sperpero di intelligenze e contributi sottaciuti, tenere lontani dagli ambiti veramente decisionali e programmatici della Fondazione è una strategia di strapotere che manifesta una considerevole mentalità maschilista di cui si percepiscono retaggi discriminatori e denigratori dell’intelligenza. Interpretare il dissidio tra il possibile e l’impossibile, tra il conveniente e il politicamente corretto non è mai facile, soprattutto quando certe antinomie restano insanabili. Arranca l’elaborazione delle idee, perché il livello culturale complessivo è drammaticamente precipitato, la proiezione sul futuro è al palo, arretra e continua a fallire ogni buon proposito di prospettiva e gli ambiti più propriamente culturali, che sono per loro natura materia di difficile e complessa trattazione, sono asfissiati nella vacuità e nell’inconsistenza di sempre più poveri e contriti contenuti o peggio con contestazioni strumentali non suffragate da fatti. Ricorda le parole che “con la cultura non si mangia”? ebbene ad Acri sono ancora in molti a pensarlo. Anzi forse a questa corrente di pensiero si sono aggiunti anche quelli che credono che con la cultura non si sono mai realizzati neanche i consensi elettorali.
Come giudica i suoi sette anni nel ruolo di vice presidente?
Accolsi la nomina con relativa ilarità, credevo fosse un gesto amorevole verso la Fondazione e la città più che nei miei confronti, lo interpretai come un gesto di sincera apertura che interveniva con lungimiranza sulla necessità di generare processi di ossigenazione culturale non certo perché ad esserne investita ne fossi io ma solo perché da osservatrice esterna, assolutamente imparziale quale io sono sempre stata, avevo avuto già modo di costatare che in tanti anni di vita della Fondazione vi erano molte criticità sulle quali bisognava intervenire. Non avevo mai fatto mistero di queste considerazioni, consapevole come sono sempre stata che se richiesto non mi sarei mai sottratta nell’offrire un contributo in direzione della trasformazione per lavorare magari ad una caratterizzazione per così dire femminile e magari anche giovanile solo per dare voce ad un universo più variegato. Credevo fosse importante interpretare l’anima della nostra città che cerca di immaginare come aiutare a costruire il proprio futuro soprattutto, quello culturale, partendo dalla riscoperta dell’orgoglio cittadino per valorizzare ed (re)inventare l’energia di una città che dovrebbe sentire necessaria come l’ossigeno la valorizzazione della sua cultura, anche per tutelare il proprio paesaggio e valorizzare la conoscenza in senso lato, la propria storia, le proprie radici ed il proprio patrimonio intellettuale. Pensavo fosse indispensabile animare un laboratorio di idee, capace di costruire una realtà meno arida e individualista, più ricca e condivisa. Un luogo di aggregazione comune dove il dibattito sulle idee si sviluppasse in un contesto aperto e fecondo. Un’occasione preziosa per aggiustare anche il tiro su aspetti e modalità di gestione, esattamente dall’interno di questa preziosa istituzione - che io stessa ho concorso a creare, in qualità di assessore alla cultura della giunta Zanfino. La Fondazione è stata unitamente alla nascita di mia figlia nello stesso anno, la partogenesi delle mie migliori intenzioni. Dal 1998 in verità fui avocata in Fondazione solo nel 2011 dopo per così dire un lungo periodo di damnatio memoriae che dovetti immotivatamente subire, non si comprende bene poi per cosa. Fin tanto che si ravvisò la necessità di coinvolgermi e mio malgrado fui investita come dicevo del tutto inaspettatamente e senza aver mai chiesto nulla a nessuno dell’incarico formalizzato, dal Presidente della Regione Calabria che aveva in quota l’assessore regionale Michele Trematerra. Ho così sinceramente creduto di poter concorrere a sollecitare una rigenerazione come rappresentante di uno dei soci fondatori ma naturalmente mi dovetti ben presto ricredermi. Purtroppo non fu reso possibile il processo, giacché il mio ruolo di vicepresidente non poteva permettermi di ascrivere alcun che non altrimenti offrire solo la mia personale caratterizzazione per così dire femminile, secondo un’attività programmatica scevra da strozzature per dibattere sulle proposte di nuovi o diversi percorsi, oltre quelli che il presidente stesso e poi gli altri soci, ritenevano adeguati per la fondazione cittadina. Ho così malgrado tutto ugualmente messo al servizio della preziosa istituzione, la mia lunga e consolidata esperienza di docente con tutte le mie competenze specifiche in ambito umano, culturale e politico. Ma da un bilancio complessivo ho più dati sconfortanti e deludenti che altro anche in ragione delle ultime dichiarazioni rese contro di me e sommessamente avallate dallo stesso Presidente. Quando poi si sono anche esacerbati gli animi, generando per così dire una vera e propria incompatibilità ambientale più complessiva, che ha palesato all’opinione pubblica tutte le insanabili contraddizioni, anche con la rappresentazione delle contraddizioni formali espresse e rese con le dichiarazioni offensive, false, tendenziose e fideisticamente compromissorie, ho realizzato di non volere più svolgere tale incarico.
Le dimissioni quale significato assumono?
La mia è stata “banalmente” una funzione civile di osservazione critica nonostante un lungo periodo di assenza forzosa dalla vita della Fondazione per serissimi problemi di salute. Certo una posizione sempre intellettualmente onesta e libera, è vero, ma non è superfluo far notare che in molte circostanze sin anche esprimere le mie personali opinioni diventava oggetto di inammissibili invettive, velate o dichiarate, contro la mia persona che sovente hanno assunto il sapore della disputa personale. Ora, scegliere di fuorviare il tiro per costringermi non alla difesa personale ma piuttosto all’attacco del bastione sotto il fuoco incrociato dell’artiglieria, è stata una strategia, con tutto il dovuto rispetto, da “intelligentissimi cretini”. Figurarsi dunque se poteva essere possibile giustificare altro o magari promulgare caratterizzazioni contrarie ai valori di correttezza e responsabilità di contenuti o di testi, all’interno di quegli stessi spazi notoriamente maschilisti e denigratori. Per non parlare di quanto risulti destabilizzante per molti il pensiero della indispensabilità di certi ruoli e di prestabilite funzioni destinate a sopravvivere all’idea stessa di eternità, che alcuni ancora si ostinano disperatamente a difendere e sostenere. Io per mia fortuna sono lontana da tali elucubrazioni ed aliena a tali aberrazioni, mi concedo perciò con tutto il dovuto rispetto di andar via anche sbattendo la porta e salutando irriverentemente nel mio stile. Piuttosto credo sia percepibile nell’aria la paura per il futuro, simile al timore che non fa allontanare da un certo vecchio modo di vivere la politica e la cultura, come gioco della subalternità, per non cedere spazio al discernimento all’impegno culturale e di partecipazione in tutte le forme affini. Voglio rassicurare dunque, confermare queste prospettive non dismette il “vizio” dell’interessamento ma corrobora solo la deriva che taluni riescono a superare esclusivamente con l’auto incensamento di sé.
Politica e cultura un connubio perfetto ma veramente indispensabile a riqualificare la vita sociale della nostra città?
Il vuoto che la politica produce intorno a sé è determinato prevalentemente dagli uomini sbagliati nei posti sbagliati e dall’incapacità di sviluppare una fruibilità di scelte a garanzia della limpidezza e trasparenza di un operato adamantino che abbia come precipuo Interesse quello autentico di favorire reali progressi ed una emancipazione a tutto tondo. Il suo contrario è un atto deprecabile e negletto ingiustificabile come il disinteresse complessivo che si manifesta per le politiche culturali del nostro territorio. Siamo però ancora in molti a credere che l’individualismo non paga. Dovremmo iniziare davvero tutti a lavorare per ricostruire un nuovo senso di comunità, che è alla deriva, per scrivere una narrazione inclusiva e non divisiva della nostra identità storica presente, passata e soprattutto futura. Occorre perciò costruire una politica che ci consenta di pensare una vita migliore anche per la fondazione; perché la politica deve favorire il cambiamento, consentire di sperare, nutrire l’immaginazione, per farci provare fiducia verso l’idea stessa di futuro. Ormai la Fondazione è abbondantemente matura, per questa ragione necessita di un profondo e sostanziale maquillage. La mirabile conduzione Cristofaro, con all’attivo ben oltre un ventennio di programmazione e gestione, ha sin qui definito la sua visione e soprattutto la propria azione. Ora sarebbe il momento di generare e sperimentare nuovi sviluppi diversamente possibili né totalizzanti né assoluti. Per quello che mi riguarda la mia carica di vice è stata improntata ad un sano volontariato culturale speso in favore della mia città per i miei concittadini che ho sentito di voler rappresentare in seno al cda con la formula del sano criticismo costruttivo. Ho assolto ad un dovere profondamente etico, unicamente rispondente alla mia onestà intellettuale e correttezza. Credo sia giunto il momento che ci si interroghi sulle ragioni, sui significati e gli obiettivi che la Fondazione dovrà porsi non solo a breve e medio termine, ma soprattutto sui progetti a lungo termine, quelli che intenderà perseguire, in nome di questa Città e per conto di uno dei suoi più illustri concittadini, ma anche di noi altri poveri comuni mortali con il vizio tipico delle teste pensanti.
Secondo lei cosa occorre alla Fondazione?
Magari si tratta anche di definire livelli, temi e quali rappresentanti, avranno modo e capacità di rappresentare la Fondazione e soprattutto quali obiettivi saranno concepiti per promuovere le politiche culturali complessive di questa istituzione in questo territorio. Ma questo non siamo certo né io e né tu a sceglierlo ognuno sarà chiamato all’assunzione delle proprie responsabilità in funzione proprio di quella buona politica oppure di quelle buone idee che dovrebbero sempre marciare sulle gambe di una classe politica e dirigente degna di questo nome. Io posso affermare, senza timore di smentita, che, fatte salve alcune sparute eccezioni che non confermano la regola, a tutt’oggi nella Fondazione, ognuna di queste argomentazioni è seriamente compromessa e minacciata dall’arido protagonismo. Difatti, latita la consequenzialità tra idee, parole e orizzonti culturali da tracciare e definire; ne accusano il colpo le nuove destinazioni e gli obiettivi di scelte ponderabili, l’ attività di programmazione e di progettazione continua malgrado tutto ad essere elaborata senza alcuna democrazia sostanziale ma interpretano necessità che rappresentano interessi e gusti parziali, esclusivi e discrezionali del presidente, che allo stato attuale e secondo lo statuto vigente, ha ancora tutti i poteri decisionali anche in ottemperanza alle sue personali prerogative che la legge gli consente. Proporre perciò qualsivoglia processo di emancipazione e di sviluppo, sensibile ad interpretare le diverse anime culturali, ma non solo, di questa città ivi comprese quelle delle rappresentazioni dei modelli ad esempio di genere e farlo negli ambiti che s’intersecano con i livelli meramente gestionali ed amministrativi di questo territorio, è per il momento un bel progetto concepito in forma embrionale che non ha alcun riscontro con la realtà dei fatti oggettivi.
Credo che tutto dovrebbe impattare con la sostanziale voglia di contrastare l’impoverimento culturale complessivo della nostra città, l’autoreferenzialità è sempre poco fedele alla realtà complessiva; e rischia talvolta di far trasudare il fetore del vacuo e dell’inconsistenza. C’è invece un patrimonio che deve sopravvivere come deve vivere il desiderio di rifiutare l’ingiustizia, di cambiare, se non il mondo, almeno di incidere sulla triste condizione attuale fondata sull’astio, l’acredine, il sospetto, le vendette e le sterili ostilità. Nel nostro paese si stanno tollerando cose che in altre epoche la gente non avrebbe mai tollerato, sia sul piano del più complessivo e sostanziale depauperamento, che dello scadimento collettivo, con particolare riferimento naturalmente anche e soprattutto in ragione dell’impoverimento dei contesti culturali. E’ come se si avvertisse un comune senso della paura che è diventato l’ instrumentum regni, un istinto di protezione ed elaborazione della propria idea di Sicurezza e del proprio personale senso della realtà, funzionale però sempre e solo alla propria auto conservazione individuale e non invece alla salvaguardia degli interessi collettivi. Nella nostra realtà cittadina siamo toccati da un raccapricciante senso di rilassamento e da un’apparente calma, una sorta di torpore, evidentemente instillato forse più per mollezza, che non per altro. Del resto fare le cose, vuol dire prendere decisioni e scegliere, uomini, donne mezzi e strumenti; correre il rischio di sbagliare. Significa combattere un disinteresse colpevole che si traduce in strategia dell’opportunismo e dell’opportunità, i cui effetti sanno come risultare paralizzanti, anzi oserei dire ipnotici. 5 Fino ad ora tutto ha rappresentato la conservazione di sé; e sin anche un gesto come le mie dimissioni assume un significato per così dire sovversivo e in forte controtendenza, visto che in Italia e nel nostro paese non si dimette mai nessuno. Io invece amo dare senso alle cose, ed amo interpretarle per argomentarne le trasformazioni inesorabili dei tempi storici che invocano sempre la gestione dei cambiamenti, delle trasformazioni; dell’innovazione e degli impianti di processi strutturali che spesso contemplano uno stravolgimento della nostra stessa mentalità gretta; che talvolta sa anche come involvere in mentalità assassina del senso critico. Io Non mi preoccupo della mia personale conservazione, piuttosto della crescita culturale complessiva di cui sono parte, e di ciò che attiene ad adeguate connotazioni di pensiero, che non sono esattamente quelle egoistiche o miopi o peggio del tutto cieche di certe scelte e di certi percorsi. Nel paese della porchetta e della minestrina non mi sorprende che non si sia mai soppesato il senso né il valore delle mie affermazioni, di cui per altro io non ho mai fatto mistero con nessuno. Le maglie di uno strapotere assoluto a cui si concedono sin anche certe scivolate di stile ed eleganza, restano discutibili. L’inganno è invece completo quando si finge di non voler considerare forme per così dire di “corporativismo clientelare” pronte anche a manifestare caratteri reazionari e finanche scioccamente autoritari, con dimostrazioni di muscoli e di forza, che sono la sommatoria di vecchi malati vizi.
Qualcosa di più simile a correzioni di propaganda che potrebbero essere classificate come uno squallido smascheramento, piuttosto che come conquista dell’Eldorado. Il dramma sta nel fatto che il livello culturale è così trasversalmente precipitato nel suo de profundis; ed è più preoccupante, che ci si stia depauperando di risorse intellettuali ed energie di uomini e donne ma soprattutto di giovani, vero ossigeno, ai quali dovremmo invece poter servire/offrire contenuti e valori di riferimento; senza elargire a piene mani mortificazioni, offese o peggio insulti ed insicurezze paralizzati nell’assoluta mancanza di prospettive. Forse la verità è che non crediamo più nell’attitudine a sentirci autentica comunità solidale, pronta a identificarsi nelle idee migliori dei propri intellettuali. Ho grande nostalgia del pensiero libero dei nostri intellettuali locali più acuti; ecco perché ho compreso pienamente perché c’è sempre una porta che si spalanca per chi si lascia avvolgere con benevolenza nel manto di soggezione e subalternità; lasciando che il grido delle sirene avvinghi con una povertà ipnotica di un pensiero che si preferisce piuttosto schiavo e sempre sottomesso. Stabilire perciò una stretta relazione tra politica e processi culturali, rappresenta la vera chiave di volta che non cede né si arrende alla manipolazione totalitaria o tecnocratica. Il riconoscimento del valore rifondativo della cultura in questa stessa comunità, si dovrebbe cominciare a salvaguardarlo seriamente, con senso di responsabilità e soprattutto senso della misura, per assicurare nuovi spazi culturali più liberi e meno soggiogati. Le abusate forme di colonizzazione culturale che hanno reso tanto asfittici ambienti e luoghi, anche con ripetitive manifestazioni auto celebrative, continuano ad essere riproposte con i soliti contriti rituali, nonostante si possa contare sul beneficio di tecnologie importanti e straordinariamente potenti, ancora del tutto inutilizzate; solo per citare un esempio la necessita di intervenire sulla modernizzazione per rendere pubblici bilanci, atti deliberativi, e quant’altro che devono poter essere disponibili per la collettività in ogni momento, secondo i termini di assoluta accessibilità e fruizione degli stessi materiali scaricabili in rete, resi finalmente fruibili e disponibili per ogni cittadino.

Cosa ritiene di voler far prevalere il pessimismo dell'intelligenza, oppure l’ottimismo della volontà?
Occorrono non solo parole e idee nuove, ma necessita un nuovo diverso patrimonio di cui disporre in assoluta libertà e concretezza. Servono spazi utili condivisi e partecipati in cui poter costruire con un lavoro onesto, appassionato e sincero al quale si deve poter concorrere senza preclusioni o discriminazioni. Necessita un modo di trovare nella Fondazione, per la fondazione, parole collettive da sviluppare, alimentare e far crescere, parole come Futuro e Cultura assumibili a simboli e messaggi di coraggio. 6 La più importante parola sarà quella che si scriverà per difendere e organizzare gli spazi di partecipazione democratica di Uomini Donne giovani e anziani che vogliono appropriarsi della loro più importante istituzione culturale per vivere il proprio tempo praticando una partecipazione che è visione collettiva, da proporre e nominare nella politica culturale come santa alleanza della cultura con le buone politiche. Occorrono cioè nuove altre migliori e qualificanti iniziative che diano il senso più ampio ed efficace dell’organizzazione condivisa e delle proposte giuste, producendo un impatto più radicale, meno sclerotizzato con una validità pedagogica complessiva che vada ben oltre la didattica, che affermi cioè la propria validità anche in una dimensione di fruibilità ad esempio nella vocazione turistica oltre che scientifica e magari imprenditoriale utile ad un intero territorio. La fondazione è una specie di lente attraverso cui si filtrano le attività dell’Amministrazioni locali e degli stessi soci fondatori, ma non deve per nessun modo rappresentare lo specchio di sé stessa nella precisa misura in cui anche tra incontrovertibili difficoltà economiche, si sceglie di rinunciare ad elaborare le proprie forme di autonomia, per rinunciare de facto alla creatività ed alla immaginazione, che le devono unicamente servire per guidare il timone del suo rilancio. La resistenza al cambiamento non è certamente una lungimirante pianificazione progettuale che tramuta ed evolve nel traghettamento verso il futuro.

PUBBLICATO 02/07/2018 | © Riproduzione Riservata





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