RELIGIONE Letto 2664  |    Stampa articolo

Paure e affidamento.

sac. Sergio Groccia
Foto © Acri In Rete
Tutte e tutti noi conosciamo i vissuti della paura, più precisamente delle paure: da quelle causate da motivi contingenti e passeggeri, a quelle più esistenziali che riguardano le radici stesse del nostro essere. Sembra che la paura più profonda sia quella di non essere accolti, considerati, amati, legata alla paura più o meno consapevole, della morte come insignificanza totale, come scomparsa a tutti, a cominciare da se stessi. Intrecciate a queste emergono le paure di non riuscire nella vita, nelle relazioni, nel lavoro; di non essere considerati in modo sufficientemente positivo; di essere criticati, allontanati, isolati. E ancora la paura delle malattie, della sofferenza; che accada qualcosa di grave a noi e alle persone care; e ancora la paura dell'altro, del diverso che non conosciamo; e ancora la paura del futuro, reso incerto anche dall'attuale crisi dell'economia e del lavoro…
La nostra società è attraversata dall'incertezza e dalle paure per i motivi accennati e ancora per gli accelerati cambiamenti avvenuti e in atto: ad esempio le possibilità medico-scientifiche che riguardano l'inizio e il termine della vita pongono questioni etiche inimmaginabili fino a pochi anni fa; la rimessa in questione di punti di riferimento sociali, culturali, politici e religiosi riconosciuti in una fase di ricerca ci rende più fragili e vulnerabili. Si constata come invece di far evolvere queste paure e queste incertezze in modo positivo con la fatica e l'arricchimento della ricerca personale e comunitaria si sono attribuite nella logica conosciuta del "capo espiatorio" alla presenza degli stranieri, considerati appunto responsabili delle nostre paure, dei nostri disagi, delle situazioni di incertezza, disgregazione e violenza della nostra società. Senza negare le questioni aperte, anzi con la disponibilità e l'impegno a dare progressivamente risposte adeguate, si richiama all'attenzione sincera e profonda a noi stessi, al nostro animo, alla nostra coscienza, al nostro cuore; in particolare a quelle situazioni in cui ci sembra di perderci, di sprofondare.
A queste esperienze si riferisce il Vangelo di Marco 4, 35-41, ci racconta infatti del vento e della tempesta, una sera sul lago di Tiberiade, mentre Gesù e i discepoli lo attraversano con la barca. "A un certo punto il vento si mise a soffiare con una tale violenza che le onde si rovesciavano dentro la barca e questa già si riempiva d'acqua"
I discepoli pieni di paura svegliano Gesù che dorme in fondo alla barca in modo allarmato e infastiditi dalla sua indifferenza, "Maestro, affondiamo! Non te ne importa nulla?" Gesù si sveglia sgrida al vento e dice all'acqua del lago:" Fa silenzio! Calmati!" Il vento si ferma e si ristabilisce una grande calma; Gesù dice loro: "Perché avete tanta paura? Non avete ancora fede?"
E loro con stupore si chiedono che sia questo Gesù di Nazareth, dato che perfino il vento e le onde del lago gli ubbidiscono. Le onde e il vento, l'acqua minacciosa ben rappresentano quelle situazioni della vita che inducono paura, specie, come già si accennava, quando la sensazione è di smarrimento, di perdita di direzione, di forza, di significato. E' un'ardua, autentica impresa ritrovare poco a poco, non per incanto, non in modo miracolistico un poco di serenità che poi nutre ulteriore pacatezza e calma interiori. Può e come la fede favorire questa pacatezza? E quale fede, in quale Dio? La fede come affidamento ad una Presenza che accoglie e rincuora, in cui si può acquietarsi e riposare perché non respinge, non giudica, ma rasserena.
Questo radicale affidamento non come fuga dalla realtà e dalla personale responsabilità, ma come esperienza esistenziale profonda che, di rimando, recepisce maggior calma e quiete come premessa per riprendere rinfrancati il cammino. E insieme la fiducia in qualche persona amica che con la sua presenza discreta e gratuita, e per questo profonda e significativa, comunica attenzione premura, cura e fa percepire la sua presenza come disponibilità su cui poter contare, a cui potersi sempre e di nuovo affidare.

PUBBLICATO 21/08/2009

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