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Sull'ospedale di Acri l'ombra di un forte ridimensionamento.

Giulia Zanfini
Foto © Acri In Rete
Chiudere e ridimensionare piccoli ospedali pubblici e tenere in vita solo alcune cliniche private convenzionate, per un giro d'affari milionario. Lo tzunami del commissariamento si abbatte sulla Calabria, e potrebbe assumere la forma di un'onda anomala. Perché l'anomalia è lampante, laddove il servizio pubblico è soppresso, e parte di quello privato accreditato, alimentato con finanziamenti regionali, a meno che non si tratti di strutture d'eccellenza. Se l'obiettivo millantato è quello di rimettere i conti in ordine, a primo colpo d'occhio la percezione imperante è che la Sanità calabrese assuma nuovamente i contorni di una "piazza affari" che governa il destino delle nostre strutture sanitarie in nome di interessi di ceto, che poco hanno a che vedere con la tutela del diritto alla salute. Perché se il Piano di Rientro della Sanità mira al recupero di fondi e ad ottenere un finanziamento di ben 800mln di euro, la domanda scontata è: come saranno investiti realmente questi fondi? E in base a quali criteri si decideranno le sorti delle strutture private accreditate? Sono bastati così pochi mesi a sradicare la presenza del malaffare in un settore che gestisce da sempre cifre astronomiche?
Tra le struttue colpite dai tagli serpeggia il malcontento. Perché è risaputo che alcuni politici, e non solo, acquistano azioni nelle cliniche private accreditate. Miniere d'oro, sovvenzionate per anni da finanziamenti regionali. Su cui pendono molti interrogativi. Se ad oggi non sembra facile mettere a fuoco il reale destino delle strutture sanitarie regionali, non mancano le sorprese agli ospedali che si ritenevano messi in salvo dal "risiko" del commissariamento calabrese. Ad Acri, paese del Cosentino, proprio mercoledì, la quotidianità dell'ospedale cittadino è stata turbata da una visita inattesa.
L'assessore all'Agricoltura e Foreste, Michele Trematerra, ha accompagnato in un giro d'ispezione silenziosa il rappresentante di un organismo "Sovraregionale", con il compito di monitorare la situazione degli ospedali da ridimensionare. Dalle mura dell'ospedale acrese trapela poco o nulla. Ma le voci che girano parlano di un forte ridimensionamento, che priverebbe la struttura della possibilità di far fronte alle emergenze e alle urgenze. Sembra, infatti, sia prevista la chiusura del reparto di Ginecologia e Ostetricia, e quello di Chirurgia, che diventerebbe un Day Surgery. Sarebbe poi prevista la nascita di un reparto di Riabilitazione, che prevede la presenza di ben trenta posti letto. Un fulmine a ciel sereno, perché proprio il governatore Scopelliti aveva affermato, nell'ambito della presentazione cosentina del Piano di Rientro della Sanità, dal palco del teatro "Morelli", che gli ospedali montani sarebbero rimasti così com'erano, con qualche piccola modifica. Niente di più. Invece, sull'ospedale di Acri, un colpo di scimitarra e le rassicurazioni del governatore si vestono di un tessuto ambiguo, fatto di "parate e chiacchiere", sfilate in abiti scuri, camicie immacolate e sorrisi scolpiti su volti che celano altre verità. Quelle che fanno male e che è meglio centellinare.
La chiusura del reparto di chirurgia di Acri, dove da anni si eseguono egregiamente delicati interventi in laparoscopia, non è il solo pericolo che appare all'orizzonte. Preoccupa molto di più la previsione della chiusura del reparto di Ginecologia e Ostetricia, da anni riconosciuto per la qualità del servizio offerto. Qui, oltre ai parti, si eseguono interventi delicati sulle pazienti ginecologiche e si partecipa alla donazione del cordone ombelicale, grazie all'interazione del reparto con l'associazione "Susy sorriso di Dio". Servizi che non tutti gli ospedali sono in grado di garantire, nel martoriato scacchiere calabrese. Rieccheggiano i parti per strada, quando un tempo il paese non aveva il reparto di Ginecologia, e si doveva raggiungere l'ospedale di Cosenza. In caso di parti precipitosi, la situazione rischia di diventare drammatica.
"Potrebbe tornare di moda partorire al Cocozzello, come accadeva un tempo" affermano amaramente alcuni cittadini. Quali saranno le posizioni dell'amministrazione comunale, è difficile dirlo. Dalle mura di palazzo Gencarelli, non trapela nulla. Non riusciamo a intervistare il sindaco Trematerra e l'agenda fitta del governatore Scopelliti non ci consente di chiedergli delucidazioni.
Ma la storia dell'ospedale di Acri è costellata da anni di battaglie, per scongiurarne la chiusura. Già negli anni Novanta, nel primo Governo Berlusconi, c'era stato un tentativo di chiudere i piccoli ospedali, tra cui l'ospedale di Acri. Allora ci fu una serrata di parlamentari e cittadini, e il tentativo fallì. Qualche anno fa un nuovo tentativo scatenò lo sciopero generale del comprensorio, e tutta la popolazione e i politici parteciparono alla protesta. Del resto l'ospedale di Acri ha un ruolo sociale consolidato, per le risposte che ha dato e continua a dare e per i servizi che eroga da anni, su un territorio in cui i dissesti idrogeologici hanno isolato più volte il paese intero. "Non è chiudendo la struttura, ma migliorando i servizi e la qualità, che si può discutere di un Piano di Rientro" affermano alcuni cittadini.
La vera sfida sarebbe, quindi, rendere i servizi di qualità, con una spesa contenuta. Ma a quanto pare per la Regione Calabria i tempi non sono maturi. Ora i riflettori sono puntati sulla collettività acrese e soprattutto sui suoi esponenti politici di spicco. I Trematerra, padre e figlio, l'uno alla guida del Comune di Acri, l'altro al timone dell'assessorato all'Agricoltura e il consigliere provinciale De Vincenti. Tutti rappresentanti politici di un UDC calabrese che potrebbe fare la differenza sulle sorti dell'ospedale di Acri.

PUBBLICATO 17/11/2010

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