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Le riflessioni di Bevilacqua, rappresentazioni della Calabria e dei Calabresi in “Lettere Meridiane”

Foto © Acri In Rete
Piergiorgio Garofalo
Nell’antica Grecia gli aedi erano, come l’etimologia del termine suggerisce,  quei cantori professionisti che dotati di immensa sapienza e protetti dalle Muse,  riuscivano attraverso le loro parole a materializzare lo spirito stesso dei luoghi che raccontavano, riuscivano a preservarlo e tramandarlo.
Queste antiche virtù con il passare del tempo sono state sempre più disperse tanto che, specie oggi, la retorica, i pregiudizi e gli interessi più o meno particolari spesso prevalgono sul racconto della realtà che, di conseguenza, ne risulta inficiata e distorta.  Alle volte però può capitare di imbattersi in alcune opere che sembrano riportarci per la loro forte carica rappresentativa, a quell’antico modo di raccontare gli uomini e i luoghi;
Così è per le opere di Francesco Bevilacqua, da molti non a caso definito come “scopritore di luoghi perduti” o “sciamano della cultura” ma che altri non è, in fondo, che un aedo contemporaneo  che attraverso la scrittura riesce a liberare quel “genius loci” della Calabria e dei Calabresi proprio perché ogni descrizione, ogni racconto, ogni considerazione in cui si impegna, appaiono scevri da quell’accademismo asfittico con cui spesso sono raccontate le vicende della Calabria.
In Bevilacqua si ha sempre la sensazione che ogni luogo è stato visto, conosciuto, capito, e proprio per questo in definitiva, appare libero da qualsivoglia retorica e dunque vero.
Con Lettere Meridiane, opera ultima edita da Rubbettino, l’autore originario di Vibo Valentia riesce a comporre un vero e proprio indice di luoghi comuni, stereotipi e rappresentazioni della Calabria che egli confuta con passione, e nel farlo trasmette implicitamente l’amore profondo che nutre per una terra esplorata in lungo e in largo attraverso le sue continue peregrinazioni.
Dai Bruzi uccisori di Cristo all’immagine stereotipata e diffusa del calabrese ndranghetista tout court, nel saggio contenuto nella prima parte del volume ogni topos è discusso e confutato fino a tratteggiare un’analisi quasi antropologica dei Calabresi quando vi si afferma che, le periodiche calamità naturali hanno lentamente contribuito a forgiare nei Calabresi “un’anima inquieta,  nichilista e nello stesso tempo rassegnata, priva di fiducia nel futuro (…)” e tale da giustificare quel “rapporto ambivalente dei Calabresi con la propria terra: la amano di un amore struggente e nostalgico ma anche la odiano, come si può odiare una prigione”. Strettamente legata a questa analisi è la denuncia di una vera e propria “amnesia dei luoghi” che i Calabresi avrebbero inconsciamente subito quando, costretti all’emigrazione, divennero dimentichi dei luoghi e del significato ancestrale degli stessi per la Calabria e loro stessi; A riguardo l’autore cita Guido Piovene : “Per i Calabresi tre quarti della Calabria non esiste. E’ pura invenzione”.
Interessantissimo poi il passaggio sull’origine della Questione Meridionale che, seguendo gli autorevoli studi di Marta Petrusewicz, affonderebbe le proprie radici già nel fallimento dei moti del 1848;  Arguta e doverosa invece la critica alla teoria del “familismo amorale” contenuta nell’opera di Edward C. Banfield  Le basi morali di una società arretrata.
Il filo conduttore dello scritto trova compiutezza infine nell’ode al pensiero meridiano e a quegli studiosi che,  verso la metà del Novecento, iniziano a rivendicare una certa autonomia culturale e politica convinti che il “il Sud debba essere pensato dal Sud” a partire proprio dalle sue peculiarità culturali, storiche e sociali. In questa operazione ripudiano alcuni capisaldi della Questione Meridionale stessa, primo tra tutti quel distorto “paradigma emulativo” del Nord che per anni l’ha condizionata innescando quella etero-direzione dei problemi del Sud che di fatto, col tempo ha peggiorato le condizioni anziché migliorarle (si vedano a riguardo le fallimentari strategie/panacee industriali finanziate attraverso La Cassa per il Mezzogiorno).
Il libro viene a completarsi poi, nella sua seconda parte, di una selezione di 100 libri per conoscere la Calabria, tutti commentati dall’autore che ovviamente in sede di prefazione dichiara che trattasi di una piccola biblioteca personalissima, che ognuno potrebbe ridurre o integrare.
Lui non l’ha fatto, ma noi ci sentiamo in dovere di inserirvi a pieno titolo anche Lettere Meridiane.

PUBBLICATO 16/05/2016





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