Calabria. Mare sporco o inquinato?


Roberto Saporito

Nuova estate, vecchi problemi ed altrettanti quesiti. Il nostro mare è pulito? È inquinato? Escludendo qualche località che ha ottenuto l’agognata Bandiera Blu, i dubbi restano.
Soprattutto nell’alto Tirreno cosentino e nel basso Ionio reggino. Prima di addentraci nella questione, il dubbio che dovrebbero fugare, la risposta che dovrebbero dare esperti del settore e amministratori è; ma il mare calabrese è sporco o inquinato? Poiché c’è una netta differenza tra sporco e inquinato, residenti e turisti hanno tutto il diritto di conoscere la qualità delle acque del nostro mare. Ma soprattutto i calabresi, e non solo, vorrebbero sapere quali sono le cause piuttosto che sentir parlare sempre di emergenza. La questione, quindi, è complessa e come tale dispiace moltissimo che venga affrontata puntualmente (visto che è oramai annosa) ad inizio estate. Il mare, dunque, è pulito e sicuro? Quelle chiazze marroni di metà mattinata, e spesso anche di tardo pomeriggio, sono davvero di origine naturale? Tutto quello che galleggia da dove proviene? Basta disquisire sul colore poco azzurro del mare con articoli, foto e denunce. Ciò rappresenta, oramai, un ritornello arcinoto perché di “acque sporche” se ne parla dai primi anni ’80. Si parlò di queste stesse cose e si decise che solo realizzando, dimensionando e razionalizzando meglio gli impianti di depurazione il problema poteva essere risolto. Dopo trenta anni, il problema è irrisolto. Alcuni depuratori funzionano a singhiozzo o per niente, e la popolazione è aumentata. Ma non è colpa solo di questi benedetti-maledetti sistemi di depurazione. Come la mettiamo con gli Ato? Avrebbero dovuto gestire il servizio di distribuzione idrica, collettamento e depurazione. Al momento esistono solo sulla carta perché non sono mai stati avviati e, anzi, saranno presto soppressi. E sulle opere di urbanizzazione di case e strutture ricettive? Siamo sicuri che tutte le abitazioni siano collegati al sistema fognario? Da qualche anno, poi, i comuni, per fare cassa, affittano a tempo determinato pezzi di spiaggia per la realizzazione di lidi privati. Fin qui nulla di strano, (diciamo così), ma come la mettiamo con chi quei lidi li trasforma, magari all’insaputa dei comuni, in veri e propri ristoranti? Come fanno a smaltire le acque reflue e gli scarichi? Oltre a tale sviluppo edilizio, al di fuori di ogni controllo, occorre sottolineare la presenza, in prossimità delle coste, di attività industriali, artigianali, agricole. Non si sa esattamente dove e come i vari insediamenti scaricano le acque reflue. Così come occorre rimarcare la massiccia presenza di pozzi neri che, come risaputo, sono illegali. In sostanza il contesto urbano è mutato radicalmente ma il sistema idrico è rimasto quello di trenta anni fa. C’è di più. Alcune reti comunali scaricano le acque nere in corsi d’ acqua o dove meglio possono. Accade in quelle aree dove gli edifici sono nati come funghi negli ultimi anni o presso stazioni di sollevamento che non riescono a sopportare il sovraccarico di determinati periodi. L’ultima delle nostre ipotesi riguarda i fiumi; se essi non sono controllati e se in essi vengono scaricati abusivamente rifiuti e liquami di ogni genere, il prodotto finale non può che essere l’inquinamento del mare. C’è, infine, un aspetto che esula dalle probabili ipotesi del mare sporco o inquinato; vorremmo sapere come è possibile che su un tratto di spiaggia, una parte viene definita balneabile mentre per l’altra attigua vige il divieto di balneazione. Il mare è sempre lo stesso. Riteniamo che l’argomento trattato in questo scritto debba rappresentare una priorità per il prossimo consiglio regionale. Roberto Saporito, geologo, direttore responsabile Acri in rete. |
PUBBLICATO 23/09/2021 | © Riproduzione Riservata

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