Alla ricerca dell’anfiteatro perduto


Cinzia Aiello

A poche ore dal concerto di Massimo Ranieri che, insieme ad altri eventi estivi di successo, ha contribuito ad animare magicamente la nostra splendida cittadina, risulta necessaria una riflessione (in realtà, in me sedimentata da tempo). Partiamo dall’inizio. È innegabile la gioia nel vedere Acri, in questo periodo dell’anno, particolarmente sfolgorante, animata da sorrisi familiari, strette di mano e abbracci autentici, stracolma di cittadini lieti di aggregarsi all’aperto, anche solo per fuggire da abitazioni rese spesso inospitali da un’estate piuttosto rovente. I ricordi che riaffiorano in questi giorni per le nostre strade sono tanti e tali da riuscire a ricaricare chiunque e particolarmente chi, come me, custodisce tutto questo gelosamente nella propria memoria, vivendo qui esclusivamente una manciata di giorni all’anno. A dirla tutta, si dimentica persino il caldo se l’uscita coincide con la partecipazione a un’esperienza unica come il concerto di Fiorella Mannoia, a pochi passi da casa. Del resto, ho più volte sperimentato, nel tempo, che dire di essere cittadina acrese nei luoghi limitrofi in cui mi è capitato di fermarmi, significa ricevere conferma dell’ottimo livello qualitativo degli eventi artistico-musicali acresi, per la presenza di tanti corregionali, a prescindere dalle amministrazioni e/o dalle agenzie organizzative di turno. Ora, però, veniamo al punto. Perché ho sentito l’esigenza di scrivere? Perché non posso fare a meno di chiedermi cosa avranno pensato Fiorella Mannoia, Fabrizio Moro e Massimo Ranieri (unitamente a tutti gli artisti che hanno fatto tappa ad Acri negli anni) quando, superato lo shock degli altrettanto caratteristici tornanti percorsi per arrivare, nella convinzione di esibirsi in un maestoso anfiteatro romano, si sono sorprendentemente ritrovati in un… teatro! Certamente, grandioso, luminoso e straripante di fan urlanti, ma un teatro realizzato negli anni Ottanta. Probabilmente emozionati all’idea di entrare nell’arena in cui un tempo coraggiosi gladiatori combattevano fino all’ultimo sangue, si saranno chiesti dove fosse finita l’altra metà dell’anfiteatro, ben sapendo che “anfiteatro” deriva dal greco e che significa “teatro tutt’intorno”. Per non parlare della delusione dei visitatori, alla ricerca dell’imponente testimonianza dell’antichità indicata dalla segnaletica turistica. Pur nella consapevolezza che si tratti di una “svista” del passato e infinitamente grata alle menti illuminate che hanno realizzato questo indispensabile spazio culturale tanti decenni fa, caro Sindaco, mi rivolgo a te, chiedendo di porre rimedio a questa inesattezza. Le gigantografie, le stampe a caratteri cubitali e i numerosi contributi social che spacciano un bellissimo e capiente emiciclo per un anfiteatro romano sono un tantino imbarazzanti. Nel desiderio di vederlo sempre più luminoso e vivo, animato da artisti di valore e fan appassionati, ti chiedo di riconsegnare a quello spazio il suo vero nome. Come direbbe Moretti, “le parole sono importanti”, tanto più se identificative di un luogo, mi permetto di aggiungere. Su “romano”, poi, dovremmo stare qui a specificare cosa renda “realmente” romana una struttura di tal genere, rendendo noiosa oltremisura la lettura di questo breve suggerimento; a meno che non si tratti di un tributo all’ormai storico ristorante vicino, in una moderna ricostruzione di un più antico e perduto “Anfiteatro Tintilio”, come ironicamente suggerito da un mio amico indiscutibilmente geniale. Acri non merita una così reiterata brutta figura da continuare a trasmettere alle generazioni future. Acri merita di più. Rassegniamoci: noi non abbiamo un anfiteatro romano e, se proprio desideriamo ammirarne uno in ottimo stato di conservazione, basta prendere un treno per Roma o proseguire verso Verona. Cinzia Aiello
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PUBBLICATO 21/08/2024 | © Riproduzione Riservata

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