Un ebete felice
Angelo Bianco
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Ho preparato lo zaino ripetendo mille volte le cose che ho da portare ma ricominciavo sempre daccapo perché pensavo “domani con Peppe andiamo a vedere la partita al Blocksmith” e, allora, sceglievo un maglioncino e, poi, “lunedì magari faccio una corsetta con Carminiello per i cappuccini, servono i pantaloncini” e sorridevo come un ebete ma un ebete felice.
Io sono un uomo del Sud, ne ho l’orgoglio appiccicato per ogni micron di cellula e quando sono in viaggio per il mio paese, mi emoziono. Succede tutte le volte e sono sono già state tantissime, io resto un emigrante, sono solo prestato al nord e vorrei che la mia polvere facesse nascere un fiore accarezzato dal sole, dal vento e dai fiocchi di neve di Acri. Viaggio con Ryanair, devo ottimizzare gli spazi “porto un altro paio di jeans?” alzo gli occhi fin su “supra l’uortu”, penso “sono solo quattro giorni, se serve li compro ad Acri, vado da chi non mi ricordo”, io sono fermo a Milizia, Capalbo, il dubbio è amletico. Sono solo quattro giorni, non vedo l’ora di partire ma sono già triste al pensiero di ripartire perché Acri è come gustare una fetta di torta buonissima, io adoro la millefoglie, non vorrei finisse mai e, anzi, “martedì faccio un salto alla BioSila a fare incetta di provola e supressata, devo lasciare uno spazio nello zaino, allora, niente jeans, dubbio risolto!” Tornare al mio paese proietta l’anima in una bolla protetta dai ricordi che ho e dalle speranze che voglio esigere, è la mia terra, voglio il meglio. È la terra che tutti offendono, che nessuno vuole più, i giovani vanno via, i negozi chiudono e oggi hanno commissariato la Sanità, gli ospedali collassano, la politica è correa, al mio paese si lamentano tutti, il sindaco è contestato, l’opposizione insorge, la narrazione è pessima, chi ha torto e chi ha ragione? Quasi, quasi mi candido alle prossime elezioni. Salgo sull’aereo, accanto a me c’è un cosentino, parla al telefono, si lamenta del ritardo, il dialetto mi stordisce di buono, non ne sentivo più da troppo tempo, appena finisce gli racconterò del mio sciopero, ci incazzeremo in puro dialetto acritano, così da riportarmi lungo corso Mazzini, piazza Fera “ia ra miseria fratè, chi ci fà e ste parti, è quantu tiempu”. Acri è un ombelico naturale, è tra il mare, Jonio o Tirreno non fa differenza, sanno di spiaggia buona, e la Sila, Acri ha mille occasioni verdi e blu di vacanza e c’è la mia gente e io sono “u figliu e capobianco” oppure “angelì” e per me non fa ancora differenza, sanno di terra buona, la mia. “Sono solo stereotipi, luoghi comuni dove si abbevera la nostalgia, è cambiato tutto, non è rimasto nulla” recito a memoria le critiche, sempre le stesse, che fanno alla mia “acritudine.” Vogliono convincermi ad ammainare la bandiera rossonera e arrendermi al nuovo Re, il Regresso ma “io non mi faccio persuaso.” Cos’è il paese? È forse la bottega e “Gigi e Mascella” dove c’era il gusto fresco sul bancone e che non c’è più? Adesso c’è il gran supermercato! È forse la bottega e “u Musichiere” dove c’era di tutto e che non c’è più? Adesso, c’è Amazon! È forse il cinema nuovo per vedere Bruce Lee e i pornazzi e che non c’è più? Adesso ci sono i multisala, Netflix e youporn! A tutti mancano i nostri calzoncini corti ma anche i diciotto anni, è questo il paese che tutti rivorremmo ma il tempo non si incastra negli scogli, al sole dei ricordi, fluisce di necessità, da sempre, e cancella sulla sabbia le orme del passato, è il prezzo naturale che abbiamo pagato al progresso ma, per favore, non chiamatelo regresso, non ne coglieremmo il senso. Il mio paese è la sua gente che mi saluta, che verrà domani a pregare mia mamma, le sue strade sicure dov’è cammino senza tenere per mano le mie bambine, l’aria che respiro, il cappuccino con un sorriso e una domanda “tutt’a posto alla casa?” Il mio paese è la panchina della domenica in piazza Annunziata, è sapere tutto di tutti e aiutarsi tra tutti perché Elisa, Allegra e Daphne non sono solo mie, è il pane fresco di una tradizione antica, è la pizza senza ananas, il vino di Mezzotero, l’acqua fresca “e l’acquanova”, è la musica “cantanno, cuntu”! Quando torno al mio paese io non cerco quello che non c’è più, ne ho nostalgia ma ho solo quattro giorni per ritrovare e godere di tutto quello che ci sarà sempre ed è tantissimo perché Acri non finisce in un interno civico tra due portoni di una scala di un condominio anonimo, di una città vuota di umanità perché se è questo che volevo, allora, lo zaino resta vuoto. L’aereo è atterrato, saluto il cosentino “ni vidimo natra vota”, scendo i gradini, sono nella mia terra, vorrei baciarla ma non sono il papa, sono solo un ebete ma un ebete felice! |
PUBBLICATO 09/03/2025 | © Riproduzione Riservata

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