Ridotta su Cuba


Giuseppe Donato

La notizia dell’arrivo di un nuovo contingente di medici cubani è rimbalzata nell’infinito flipper della comunicazione calabrese come una pallina impazzita scaraventata da luminosi e rumorosi respingenti dal Pollino allo Stretto.
Diversamente dagli sbarchi di umana residualità che si susseguono sulle coste joniche, cristallizzati nello sciagurato epilogo di Steccato di Cutro del 2023, l’arrivo dei sanitari d’oltreoceano viene salutato con giubilo quasi levando le braccia al cielo per l’ennesimo miracolo compiuto, ignorando che trattasi di misura palliativa inizialmente destinata a esaurirsi nell’anno in corso, prorogata lo scorso dicembre con un emendamento inserito nel Decreto Flussi e di fatto recante la nuova data di scadenza stampigliata sul camice dei “doctores” cubani: 31/12/2027. Quasi a malincuore ci si rende conto che siamo di fronte al reclutamento di manovalanza dalla lauta retribuzione, in larga parte destinata alle casse della società cubana che fornisce i prestatori d’opera costretti a coabitare in soluzioni abitative reperite a pochi passi dai luoghi di lavoro o in quartieri a elevata fruibilità dei mezzi pubblici, condizioni indispensabili per sopperire alla mancanza di mezzi di trasporto autonomi nonché relativi permessi per condurli. Una sorta di baraccopoli glamour, dove gli “stagionali” della sanità calabrese trascorrono i giorni compresi fra l’annuale ritorno in patria contrattualmente riconosciuto e la conclusione del viaggio esperienziale nell’eternamente emergenziale destino dei presidi ospedalieri calabresi. Emergenziale proprio come l’eccessivo ricorso all’utilizzo dell’elisoccorso, divenuto ormai eliambulanza, per coprire le distanze sempre più incolmabili che separano i presidi di cui sopra dagli insediamenti urbani disseminati lungo l’appenninica spina dorsale che attraversa le terre di Calabria. E nell’attesa che l’elefantiaca struttura regionale dai piedi d’argilla, Azienda Zero, riporti nell’alveo della normalità l’ingovernabilità delle emorragiche strutture sanitarie ricadenti sotto il suo controllo, si continua a partorire per strada, costringendo genitori in stand-by e nascituro a misurarsi con la non richiesta ebbrezza di sfidare la sorte dividendo la posta in gioco fra fortuna e perizia del personale medico, con esito nettamente diverso rispetto a chi, ancora peggio, finisce per spegnersi sempre per strada, nella vana attesa di un’ambulanza che, ove dovesse arrivare, con buona probabilità risulterà priva di medico a bordo e non potrà fare altro che rientrare alla base di partenza demandando ad altri persino il compito di constatare il decesso. Sullo sfondo, si staglia l’utopica costruzione di nuovi ospedali, destinati a intercettare i pazienti che ancora oggi, drenando ingenti risorse alle ingessate poste del bilancio regionale, alimentano i viaggi della speranza verso l’ospedale più grande della Calabria: le regioni del Nord Italia. Con buona pace della paventata autonomia differenziata la cui assenza, in questa come in altre situazioni, non ha impedito al ricco figliol prodigo settentrionale di prendere e portare a casa, scaricando sul meridione ataviche inefficienze nazionalpopolari culminate nel sempiterno piano di rientro dal debito sanitario affidato a un inutile commissariamento rivelatosi, a distanza di tempo abissale, un’utile e costosissima idiozia seconda soltanto all’immaginifico Ponte sullo Stretto. |
PUBBLICATO 11/05/2025 | © Riproduzione Riservata

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