Il calore della memoria: la Vigilia di Natale tra sapori e tradizioni
Manuel Francesco Arena
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La vigilia di Natale è un giorno molto sentito. Ricco di storia e tradizioni, ad Acri e dintorni è celebrato oltre che dal punto di vista sacro, anche da quello tradizionale, soprattutto a tavola. Alla cena del ventiquattro, infatti le famiglie si ritrovano davanti alla tavola. Un motivo per ricongiungersi e stare insieme, forse è anche questo uno tra i piccoli miracoli del Natale. Vale la pena raccontare che per il cenone vengono preparate rigorosamente tredici pietanze, tra cui il Re incontrastato sicuramente è il baccalà. Esso può essere preparato in cento varianti. Tra le ricette più comuni troviamo il baccalà in umido, il baccalà in pastella e quello alla trappitana il quale, dopo essere leggermente fritto, viene posto su un letto di erbette aromatiche per completare la cottura in forno sott’olio con le olive. Ma anche nel primo locale per antonomasia natalizio, ovvero la pasta con la mollica (in dialetto ‘a pasta c’ccu la mullica), il baccalà ricopre un ruolo essenziale. Infatti per il preparato con cui aggiustare la pasta (consiglio uno spaghetto non troppo fine per chi vorrebbe cimentarsi in questa ricetta), oltre alla salsa di pomodoro, alle noci ed alla mollica di pane, per dare un sapore più deciso è buona cosa inserire un po' del sugo dello stesso baccalà cotto in umido. Tuttavia il cenone non è solo questo. Sulla tavola della vigilia abbondano le verdure di stagione, la frutta e molti altri piatti a base rigorosamente di pesce. Secondo le usanza, i piatti preparati devono essere tredici. Questo numero secondo alcuni, non è casuale poiché simboleggia l’ultima cena di Gesù con i dodici discepoli. Una menzione speciale la meritano i dolci del dopocena. Anche essi ricchi di storia, oltre ai commerciali panettoni troviamo infatti i turdilli, le crocette di fichi ripiene di noci, torroni vari, mostaccioli e la pitta ‘mpigliata. Passando infine alla mezzanotte, dopo la messa, un tempo fino a pochi anni fa, si accendevano i fuochi. Essi volevano rappresentare l’accoglienza al Bambino Gesù nascente. Ma questi erano anche un modo per aggregarsi, ritrovarsi e sentirsi comunità per una sera. Ad organizzarli erano principalmente i giovanissimi, i quali andavano nei giorni precedenti il Santo Natale per le case a chiedere la legna. In particolare si usava dire “P’pe l’amori du Bomminiallu, mu duneati nu piazzu e dignu?”. In ultima, con l’aiuto dei più grandi, la legna veniva accatastata in una sorta di capanna pronta per l’accensione. Il fuoco doveva durare tutta la notte per riscaldare i cuori dei presenti assieme all’allegria di un momento dove ogni malinconia veniva messa da parte almeno per qualche ora e dove nessuno, davanti al salir delle faville verso il cielo ed all’ardere delle fiamme che consumavano i tronchi, doveva sentirsi da solo. Ad Acri ogni contrada e frazione aveva il suo falò. Adesso purtroppo questa è una tradizione che si è quasi perduta assieme a tante altre che rendevano magica nella sua semplicità la notte di Natale per citare il Padula. Sono rimasti purtroppo pochissimi i rioni dove ancora i fuochi vengono accesi. L’auspicio è che un giorno certe tradizioni vengano riscoperte in tutta la bellezza affinché non si perdano nel mare dell’oblio.
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PUBBLICATO 20/12/2025 | © Riproduzione Riservata

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