La tradizione carnevalesca in Calabria: Longobucco, Bisignano e Acri
Alberto De Luca
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È usanza diffusa in molti paesi della Calabria celebrare la morte di Re Carnevale nel giorno di martedì grasso. Il soldato dei Saturnali Romani si trasforma in un fantoccio di paglia o cartone ed è bruciato nel fuoco.
La festa carnevalesca si organizza sul principio del mondo visto a rovescio assumendo per la comunità una funzione distensiva e rigenerativa che libera gli individui dalle regole imposte dall’ufficialità indirizzandoli verso un mondo utopico fatto di uguaglianza. Anche in Calabria il Carnevale conserva tutti gli aspetti della festività pagana acquisendo la funzione moderna di trasmutazione sociale attraverso le maschere tipiche della tradizione. Lo stupido e sfortunato Jugale che rappresenta le mancanze del calabrese semplice, Giangurgolo la caricatura del nobile siciliano, divenuta popolare in Calabria dopo la cessione della Sicilia ai Savoia e Coviello a volte stupido soggetto, taverniere intrigante, servo sciocco e mite padre di famiglia. Il Carnevale calabrese è anche tradizione giocosa e culinaria. Le storie popolari sono piene di racconti come quelli concernenti la tradizione di Longobucco. Nell’ampia piazza del paese una briosa comitiva conficcava nel terreno due lunghi pali equidistanti l’uno dall’altro mentre un terzo era inchiodato orizzontalmente sulla due sommità. Un agnello appena sgozzato che simboleggiava Re Carnevale era appeso alla pertica a testa in giù mentre dei cavalieri a cavallo di robuste mule riccamente bardate dovevano colpire a galoppo con una daga di legno la testa penzolante dell’agnello fino a farla cadere a terra. Chi riusciva nell’impresa vinceva l’agnello che più tardi era cotto al forno e mangiato bevendo vino. A Bisignano, invece, la festa precedeva quella dell’uccisione del maiale. La produzione delle salsicce richiamava le serenate mascherate denominate “mbuvelli”. In occasione del Carnevale non mancavano le sfide a ruzzola che si svolgevano nelle periferie del paese. Tutti accorrevano ad assistere e si attendeva giocando a carte, bevendo vino, scherzando e chiacchierando lungo il percorso della gara. Un tempo alla contesa assisteva anche la gente nobile del paese. Don Serafino Rende dopo essere salito su un cocuzzolo di terra si divertiva a tirare i fichi d’india contro i passanti e i partecipanti al gioco. Nel Comune di Acri la tradizione racconta di serenate in maschera in cui uomini, donne e bambini nei giorni di Carnevale erano i protagonisti di una danza rituale al suono di tamburello e organetto, irrompendo di notte nell’intimità delle case si faceva baldoria e si prendevano in giro gli abitanti fino al riconoscimento di tutti i protagonisti mascherati e alla consegna delle salsicce succulente. Le donne e gli uomini, i suonatori con la chitarra battente, il mandolino, il violino, l’organetto e il tamburello e qualche volta c’era anche la cornamusa a suonare il componimento. Le donne danzano intorno, alzano le vesti alle ginocchia a ogni scattignola e muovono graziosamente le gambe. Il cavaliere s’inginocchia dinanzi alla donna, le offre la mano, gli gira intorno nel tentativo di arrotolarla fra le braccia e se riesce a farlo, l’uomo è un ballerino valente. Mentre la coppia balla e più si accalora nel muovere le gambe si presenta un secondo cavaliere e stagliato il primo, conquista il suo posto. |
PUBBLICATO 27/02/2017 | © Riproduzione Riservata
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