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Intervista a Silvio Vigliaturo.

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Foto © Acri In Rete
D. Signor Vigliaturo ha lasciato Acri all’età di 12 anni per farvi ritorno oggi da artista quotato e con un museo che ospiterà le sue opere, che effetto le fa?
R. Indubbiamente sono molto gratificato di ciò. Il pensiero di fare il museo è una cosa che è nata così, parlando con gli esponenti della precedente amministrazione comunale, quelli in carica fino a cinque mesi fa. Ho, poi,avuto ancora un più grande piacere vedendo che la maggioranza attuale ha accolto questo progetto con entusiasmo e la cosa mi riempie di orgoglio e di gioia.

D. Sono state avanzate delle perplessità sulla denominazione di museo, soprattutto per un’artista, per fortuna, vivente; c’è chi vedrebbe meglio altre denominazioni, che ne pensa?
R. Innanzitutto sono contento anch’io di essere ancora vivo, naturalmente. Indubbiamente non sono l’unico caso al mondo dove ci sia un museo per un’artista vivente: in giro di questi casi ce ne sono tantissimi. Vorrei, ancora, dire che per museo si intende un luogo dove sono raccolti, ordinati e custoditi oggetti di interesse artistico e magari anche storico e scientifico. Credo che sia la denominazione giusta per ciò che sono i miei interessi verso Acri.

D. Al di là della terminologia, ci conferma la sua intenzione di creare un ambiente in cui troverebbero posto opere in vendita il cui ricavato andrebbe al museo stesso?
R. Io credo che in qualunque museo debba esistere un book shop. Nel book shop sono in vendita dei gadget. Per citarla con un nome più comune potremmo dire dei souvenir che si trovano all’interno del Museo. Questi oggetti sono costituiti da qualunque cosa l’artista possa fare, dalla piccola scultura, al libro, alla serigrafia, all’oggetto firmato, al ricordo da portarsi via dal museo sotto forma di manifesto firmato. C’è una notevole quantità di oggetti che possono essere ospitati all’interno di un book shop. Si tratta di un oggetto che può essere portato via, perché, comunque, ricorda il museo, ricorda l’artista. E, perché no, la piccola scultura di Silvio Vigliaturo è un gadget. Indubbiamente il book shop, in tutti i musei, viene creato perché è anche una forma di commercio, che è la parola più chiara per definire quest’aspetto: un commercio che il museo crea proprio per il sostentamento di se stesso e al fine anche di pubblicizzare quale è il lavoro dell’artista attraverso questi gadget.

D. Ci può anticipare qualcosa su come intende gestire le prime attività della futura istituzione culturale? R. Innanzitutto credo che il lavoro più gravoso sia quello di allestire il museo. Indubbiamente il momento crucialedi tutto questo sarà l’inaugurazione, per la quale dovrà essere fissata una data. Certamente dopo si partirà con un’attività culturale. La mia intenzione è realizzare un’attività culturale attraverso convegni, riunioni e, perché no, qualche situazione di tipo didattica attraverso il museo. Credo che il museo debba avere un respiro molto più ampio; noi dobbiamo cercare di guardare assolutamente fuori da quelli che sono i nostri confini, i nostri territori, per lo meno alla Regione e, in futuro, cercare di uscire anche al di là della regione. Io credo che una delle prime cose che tenteremo di fare sarà quella di portare una biennale di altri scultori qui ad Acri, dopo di che ci sono altri progetti, anche se credo che sia prematuro parlarne. Certamente bisognerà fare delle mostre di interesse perlomeno nazionale. Al di là di quella che è la staticità del museo attraverso le opere di Vigliaturo, il museo deve essere propositivo: questo è il mio intento. Se il museo non è propositivo, non serve a nessuno e tantomeno a me.

D. Signor Vigliaturo, qual è l’ammontare complessivo delle opere da Lei donate al museo. Ci può dire qualcosa di specifico sulla composizione di queste opere?
R. All’inizio, quando si parlava del museo, io pensavo soltanto di donare una parte della mia collezione, inerente agli ultimi lavori in vetro. Strada facendo mi sono reso conto, invece, che sarebbe certamente stato più importante fare tutto il racconto del mio lavoro artistico e questo mio racconto parte proprio da Acri, nelle scuole medie. Io ho avuto sempre modo di conservare tutti i lavori che facevo. Si tratta, quindi, di un racconto generale sul mio lavoro, dalla pittura a tutto il passaggio che ho fatto all’interno della scultura per arrivare al vetro che faccio oggi. Le opere che inizialmente pensavo di donare erano un centinaio, creando questa raccolta sono arrivato a 247 opere.

D. C’è una donazione di Germano Patrito per il museo, di cosa si tratta?
R. Germano Patrito è un ex sindaco della città di Chieri, dove io vivo. Si tratta di un mio caro amico da sempre; è un gran collezionista d’arte. Pochi mesi fa è venuto nel mio studio a trovarmi per stare un po’ insieme e per parlare del lavoro che io faccio in giro per il mondo, del lavoro che svolgo per la regione, per la provincia di Torino e mi confidò il fatto che aveva circa 70 opere e che avrebbe voluto venderle perché sta cambiando casa. Andando in una casapiù piccola, voleva soltanto tenere un certo tipo della sua collezione, disfandosi del resto. Mi chiese se attraverso il mio mercante d’arte Adriano Berenco potevo dargli una mano per vendere queste opere. All’epoca gli dissi di si, ma strada facendo pensai a questa cosa anche perché conoscendo questo caro amico, so che non ha bisogno di soldi, è una persona che sta bene, e cosìgli ho telefonato dicendogli che avevo bisogno di parlargli. È venuto un mattino, abbiamo preso il caffè insieme. Germano Patrito aveva alcune tra le opere dei maggiori artisti italiani, spaziando da Migneco a De Chirico, tanto per fare un piccolo excursus e sono tutte opere firmate,serigrafie, incisioni, xilografie, ed è un bel patrimonio, credo. A quel punto ho chiesto a Patrito di fare un gesto generoso donando queste opere ad un museo, nel quale, oltretutto, sarebbe statoricordato per questo suo gesto. Lui rimase un po’ sorpreso, poi mi disse, che ci avrebbe pensato. All’indomani mattina mi telefona dicendomi che era disposto a donare queste opere per il museo.

PUBBLICATO 24/8/2005

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