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Il sign. Rossi va al CUP (Centro Unico Prenotazioni).

Leonardo Marra
Foto © Acri In Rete
Nella Grecia antica l'agorà era il centro della polis sia dal punto di vista economico e commerciale (in quanto sede del mercato) che dal punto di vista religioso. Era il luogo della democrazia per antonomasia, dato che era sede delle assemblee dei cittadini che vi si riunivano per discutere i problemi della comunità.
In tempi più moderni l'agorà (o piazza) è stata più poeticamente sostituita da luoghi che diventano deputati all'incontro ed alla socializzazione dei cittadini.
Così per esempio capita di dovere sottoporsi a degli esami medici specialistici e recarsi allo sportello CUP di Acri.
Bisognerebbe additare come esempio, per chi non ha avuto questa meravigliosa esperienza umana, la lungimiranza dei dirigenti, responsabili del servizio, che ha prodotto un raro esempio di funzionalità e rispetto dei diritti e delle esigenze del cittadino nel panorama desolante del servizio sanitario ospedaliero della nostra regione.
E' infatti noto a tutti i pazienti (intesi come portatori di pazienza e non malati) come l'organizzazione di tale servizio sia improntato sulla possibilità fornita ai cittadini di socializzare ed affrontare in maniera approfondita i temi più svariati del panorama culturale italiano. E' data anche l'opportunità (nelle ore in cui si resta in attesa di ricevere il servizio) di formare dei gruppi di studio in modo da proporre spunti di riflessione a tutti coloro che man mano si accalcano nella sala d'aspetto.
Sono evidenti le ricadute positive di tale servizio:
1. una informazione più capillare della popolazione sui problemi sociali
2. la possibilità di uscire da questa esperienza arricchiti di nuovi rapporti umani
3. l'innegabile soddisfazione di avere occupato l'intera mattinata a chiacchierare con persone di cui si erano perse le tracce e con le quali, grazie alla dirigenza del CUP, si è potuto fare un "amarcord" dei bei tempi andati
4. la felicità di avere una discussione animata per ringraziare i dipendenti allo sportello che però sottolineano di non avere meriti in questa stupenda iniziativa.

Poi dopo tre ore e mezza (dicasi tre ore e mezza), profondamente turbato e dispiaciuto di abbandonare una così preziosa compagnia e quell'atmosfera di tranquillità, arriva il tuo turno (e siamo solo al n.59).
Dato che, la maggior parte del tempo in cui sei rimasto in attesa lo hai impegnato nel gruppo di studio degli irriducibili, quelli che, invece di socializzare e di approfittare di questa occasione, si incazzano sui disservizi del pubblico impiego, ostinandosi a non capire quali sforzi siano stati fatti per produrre un servizio così inefficiente, entrando sei già intenzionato a farti sentire ed alzare la voce per far presente che non tutti condividono questo modo di gestire il "tempo libero" e che uno sveltimento delle operazioni da parte loro (gli impiegati) è auspicabile.
Quando ti trovi nell'ufficio ti rendi conto che il problema risiede anche altrove. Hai davanti tre impiegati (a volte due, a volte uno solo, dipende dagli impegni personali) che siedono alla scrivania davanti ad un computer che tu pensi sia solo là per soprammobile perché sembra un cimelio storico, invece no, quello è davvero il computer sul quale lavorano.
Ora non è che si debba essere esperti in informatica per capire che se l'impiegato fa una operazione sul suo computer e questo resta cinque minuti (non esagero, questi sono i tempi) prima di fornirti la risposta, allora qualcosa non va nel PC o nel programma.
In parole povere ti ritrovi a fare due prenotazioni per delle visite specialistiche, roba che a Cosenza (badate bene a Cosenza e non a Bergamo) impiegano due minuti in totale, ed uscire dopo 20 minuti d'orologio.
Altra chicca (eufemismo per non usare il termine vaccata): un signore nella sala d'aspetto con un figlio portatore di handicap che fa la fila. Siamo al n. 52 lui ha il 90 siamo alle 11:30 ed hanno praticamente "chiuso gli accessi" visto che il servizio termina alle 12:00.
In ogni società civile si cerca di agevolare chi è già stato colpito dalla sorte e si crea un canale preferenziale per le persone che in qualche modo hanno dei gravi disagi fisici, ad Acri evidentemente la civiltà si è fermata qualche chilometro prima del centro abitato. Non ce la faccio. Mi alzo e chiedo a tutti i presenti di dare la precedenza a quel ragazzo e a suo padre che l'accompagnava. Tutti d'accordo.
Chissà cosa ne pensa la dirigenza del CUP che, evidentemente, partecipa a tavole rotonde e convegni sulle agevolazioni ai portatori di handicap e poi, nell'organizzare il servizio, dimentica di metterle in pratica.
Per concludere, in ogni storia che si rispetti c'è sempre un finale in cui o si evidenzia la morale o si danno dei suggerimenti. In questa storia di morale (intesa come etica) ce n'è ben poca. Non resta che il suggerimento anche se lo immagino come il sibilo del vento che sfiora i tetti, fischia nelle imposte sconnesse, ma non lascia alcun segno.
Chi può faccia qualcosa, rinnoviamo questo benedetto parco macchine (computer), dotiamo il servizio di software più efficienti in modo da ridurre i tempi d'attesa. Non ci sono dubbi sul fatto che l'ospedale di Acri deve restare, ma non adduciamo scusanti insulse come quelle che recitano: "meglio avere un servizio inefficiente che nessun servizio", perché il cittadino prima o poi si rompe le scatole. perfino il cittadino acrese (almeno si spera).
Vi giuro, non se ne può davvero più.


PUBBLICATO 08/10/2008

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