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Università pubblica addio!

Giovanni Ferraro
Foto © Acri In Rete
"L'arte e la scienza sono libere e libero ne è l'insegnamento.
La Repubblica detta le norme generali sull'istruzione ed istituisce scuole statali per tutti gli ordini e gradi.
Enti e privati hanno il diritto di istituire scuole ed istituti di educazione, senza oneri per lo Stato.[...]
"
(La Costituzione della Repubblica Italiana, Principi Fondamentali, art.33)

Il 6 agosto 2008, con la finanziaria, è stata approvata nella più totale indifferenza e disinformazione la legge L133, che mina le fondamenta dell'intero sistema dell'istruzione pubblica in Italia.
Se non fosse stato per la protesta dei grembiuli e del maestro unico quasi non si sarebbe parlato di un altro importante tema collegato: alcuni degli articoli riguardano l'Università. Peccato che comportano tutt' altro che sviluppo e benessere.

Per quanto riguarda l' Università la legge prevede:
"[...]il fondo per il finanziamento ordinario delle università, e' ridotto di 63,5 milioni di euro per l'anno 2009, di 190 milioni di euro per l'anno 2010, di 316 milioni di euro per l'anno 2011, di 417 milioni di euro per l'anno 2012 e di 455 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013.[...]"
"[...]Per gli anni 2010 e 2011, le amministrazioni .... possono procedere, per ciascun anno, previo effettivo svolgimento delle procedure di mobilità, ad assunzioni di personale a tempo indeterminato nel limite di un contingente di personale complessivamente corrispondente ad una spesa pari al 20 per cento di quella relativa al personale cessato nell'anno precedente. In ogni caso il numero delle unità di personale da assumere non può eccedere, per ciascun anno, il 20 per cento delle unità cessate nell'anno precedente.[...]"
(Legge 6 agosto 2008, n. 133, art.66)

In una situazione già di deficit di bilancio per molte università, un taglio totale di 1441 milioni in cinque anni costringerebbe gli atenei a prendere drastici provvedimenti sul personale, la didattica, le infrastrutture e la ricerca.
Inoltre il blocco del turn over del personale, che prevede una sola assunzione ogni 5 pensionamenti, comporterebbe: una fossilizzazione di tutto il personale universitario a causa degli scarsi e limitati nuovi ingressi; l'impossibilità di un avanzamento di carriera per neolaureati e ricercatori; l'impossibilità di assicurare continuità didattica per i corsi attivati a causa della mancanza di personale docente, fatto che potrebbe verificarsi già da quest'anno per alcuni corsi di laurea.
"In attuazione dell'articolo 33 della Costituzione, nel rispetto delle leggi vigenti e dell'autonomia didattica, scientifica, organizzativa e finanziaria, le Università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato. [...] Le fondazioni universitarie subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi e nella titolarità del patrimonio dell'Università.[...]"(Legge 6 agosto 2008, n. 133, art.16)
In questo scenario due sono le prospettive che si presentano agli atenei:
1. Trasformarsi in fondazioni di diritto privato.
2. Rimanere istituzioni statali, cosa che per alcune di esse, visto gli ingenti tagli finanziari, potrebbe significare la chiusura.
Le fondazioni di diritto privato, essendo sovvenzionate principalmente da privati, incentiverebbero le attività di ricerca e didattica principalmente su settori che interessano i finanziatori, a discapito della ricerca libera di base. Oltre a questo i contributi richiesti agli studenti non sarebbero più vincolati dalla legge statale, che attualmente non consente di superare il 20% dei fondi assegnati dal ministero, e le infrastrutture attualmente in uso dall'ateneo diverrebbero proprietà della fondazione senza obbligo di tassazione verso lo stato.
"[...] Le Università pubbliche possono deliberare la propria trasformazione in fondazioni di diritto privato. La delibera di trasformazione e' adottata dal Senato accademico a maggioranza assoluta ed e' approvata con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze. [...]"
(Legge 6 agosto 2008, n. 133, art.16)

E' sufficiente quindi un semplice atto di quest'organo che conta circa una ventina di persone: i presidi di facoltà, il rettore, i dirigenti di area, due componenti del personale tecnico-amministrativo, e i rappresentanti degli studenti, quest'ultimi in netta minoranza.
Queste norme, promosse in nome dello snellimento dei bilanci per porre un freno agli sprechi e migliorare la qualità dell'insegnamento, non raggiungeranno sicuramente questi obiettivi.
Per gli studenti di oggi e domani si impoverirà la scelta didattica, solo a Firenze nella facoltà di Scienze sono scoperti 150 corsi tenuti dai ricercatori, che oggi protestano contro questo sconvolgimento, rendendosi conto semplicemente che fra 2 anni non ci sarà personale docente sufficiente per coprire i corsi obbligatori garantiti nell'offerta formativa di ogni Università. Molti corsi di laurea potrebbero scomparire, soprattutto le specialistiche. Inoltre, a causa del blocco del turnover, i neolaureati avranno la porta sbarrata per una carriera di ricerca o insegnamento e gli attuali ricercatori e precari dovranno dire addio a ogni prospettiva di carriera universitaria nel nostro paese. Il tanto discusso problema della fuga dei cervelli non sarà certo risolto, anzi andrà aggravandosi. Sarebbe giusto calcolare i danni che queste scelte produrranno, a partire dai brevetti ottenuti all'estero da ricercatori italiani e la mancata opportunità di sviluppo industriale e tecnologico (probabilmente saranno maggiori del risparmio ottenuto nel bilancio dello stato oggi).
Quale alternativa alla graduale scomparsa della ricerca e in prospettiva dell'alta formazione? Privatizzare gli atenei? Oggi quelli indebitati, domani forse tutti? Ci saranno allora Università di serie A e altre di serie B e questo processo non favorirà la meritocrazia, ma renderà la formazione di "alto livello" un privilegio concesso a pochi facoltosi, capaci di sborsare somme non più controllate dallo stato. Lo studio non sarà più un diritto. Ma quali privati potrebbero essere interessati ad investire nelle Università se fino ad oggi si parla di scarsi investimenti industriali nella ricerca entro le mura stesse delle aziende? Figuriamoci per quella a lungo termine e dai benefici non immediatamente evidenti. Oggi si va in Cina per produrre a basso costo e si investe in ciò che paga velocemente, ma la storia insegna che i più grandi progressi sono nati quasi casualmente da progetti che non presagivano nessun miracolo. Così è nata la penicillina ed il transistor. E se un domani ci rendessimo conto dell'errore che stiamo facendo, ci vorrebbero decenni per ricreare una struttura funzionante e consona alla tradizione italiana, certamente diversa dal modello anglo-americano proposto.
Queste considerazioni non vogliono quindi essere solo una critica distruttiva. Gli articoli citati di questa legge vanno eliminati e bisogna fare riforme più profonde. Ma soprattutto oggi bisogna cambiare mentalità e cominciare a risolvere i problemi, mettendo a volte anche da parte divisioni politiche.
A Firenze la posizione che gran parte dei professori, dei ricercatori, degli studenti e del personale tecnico sta assumendo in questo momento è di forte opposizione, mirata alla richiesta di abrogazione della legge 133. Per portare la questione universitaria all'attenzione dell'opinione pubblica studenti e ricercatori hanno occupato il blocco aule del Polo Scientifico di Sesto Fiorentino con il blocco della didattica. Questo ha consentito agli studenti di partecipare alla mobilitazione generale organizzando varie iniziative quali volantinaggi in luoghi d'interesse pubblico, lezioni mattutine e serali tenute da docenti e ricercatori in diverse piazze fiorentine e un'assemblea aperta alla cittadinanza per esporre i punti salienti della legge 133 e le conseguenze della sua applicazione.
Il punto più preoccupante di questa legge rimane comunque la scelta politica di permettere la privatizzazione di settori pubblici così importanti; una Università trasformata in "Fondazione di diritto privato" rischia di non garantire più una vasta scelta didattica, una libera ricerca e l'accesso ai meno abbienti. La mentalità italiana non è quella degli USA dove una gestione simile del sistema universitario è una realtà da lungo tempo e dagli effetti contrastanti: cosa rispondereste se vi dicessero che per mandare i vostri figli a studiare dovete accendere un mutuo o un prestito?
La partecipazione privata è necessaria, dato che le risorse statali non sono infinite, ma non può essere dominante perché l'istruzione e la ricerca scientifica devono godere della più ampia libertà possibile, non solo rispondere a logiche di mercato e di azienda che in Italia non hanno mai dimostrato lungimiranza.
Lo scopo di tutte le attività già effettuate e di quelle in programma, oltre che di manifestare il dissenso di tutto l'organico dell'istruzione italiana, ha come importante obbiettivo quello di informare la cittadinanza, nella speranza che appoggi e sostenga la nostra posizione contro questa dissennata riforma.

PUBBLICATO 14/10/2008

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