RELIGIONE Letto 2741  |    Stampa articolo

Sta per scoccare l’ora X...

sac. Sergio Groccia
Foto © Acri In Rete
Mentre Gesù sta parlando, qualcuno lo mette al corrente di una notizia sconvolgente: un gruppo di Galilei, probabilmente rivoluzionari, sono stati massacrati dal sanguinario procuratore romano Ponzio Pilato, mentre stavano compiendo un sacrificio di culto. Alla mente dei presenti si affaccia il ricordo ancora vivo di un'altra disgrazia: diciotto operai che lavoravano per il tempio, furono seppelliti sotto il crollo di una torre. Fatti di sangue, racconti di morte, grandi domande: dov'era Dio? È Dio che ha guidato la spada di Pilato? È Dio che aveva fatto franare il terreno sotto la torre templare?
Seguendo la concezione corrente della retribuzione temporale, gli ascoltatori di Gesù hanno metabolizzato quei tragici avvenimenti inquadrandoli nelle mappe securizzanti di una ragione comandata dalla superstizione: se quegli uomini sono morti così crudelmente, è segno che Dio li ha castigati; se sono stati castigati, è segno che erano peccatori. E il fatto di essere stati risparmiati personalmente rassicura quegli ascoltatori sulla loro giustizia. Gesù rifiuta questa visione semplicistica e prende le difese sia di Dio sia degli uccisi: non è Dio che arma la mano di Pilato; non è Dio che aggiunge sangue a sangue, che abbatte torri e grattacieli; non ci sono colpe segrete da punire. Quegli uomini non erano peggiori degli altri. Quelle disgrazie sono un avvertimento indirizzato a tutti: tutti sono peccatori; il giudizio di Dio non è per alcuni, ma per tutti; non è per gli altri, ma per noi. O ci convertiamo o ci pervertiamo.

Andiamo da Gesù a porre problemi e veniamo provocati a guardarci dentro. Abbiamo visto due torri crollare l'11 settembre del 2001, ma vi abbiamo letto solo un evento storico, riguardante altri come responsabili o complici o vittime. Noi abbiamo posto solo le domande: dov'era Dio quel giorno? Dov'erano i mandanti? Senza rubare il mestiere né al ministro degli esteri né a quello degli interni, il Signore Gesù ci pone davanti alla domanda radicale: dov'eravamo noi? Dove siamo noi? Se non vi convertirete, perirete tutti... Se il nostro cuore non cambia, se non facciamo una radicale inversione ad u, se io, tu, noi non imbocchiamo la strada del vangelo, insomma se l'uomo non si converte, l'ecatombe sarà la conclusione inevitabile di questa folle corsa verso l'autodistruzione universale. Se non vi convertirete, perirete tutti... Forse non nel fragore delle torri gemelle, ma nel dramma oscuro della sterilità, della noia, della depressione.
Ma insomma, da che cosa dovremmo convertirci? Non siamo forse della brava gente, non siamo forse cattolici credenti e praticanti? Ci soccorre ancora una volta D. Bonhoeffer: "Il contrario della fede non è l'incredulità; è l'idolatria". Già s. Paolo parlava della conversione dei pagani come un "allontanarsi dagli idoli per servire il Dio vivo e vero" (1Ts 1,9). Ecco: ma che cos'è l'idolatria? Nell'opinione comune, mentre la vera fede adora un solo Dio, l'idolatria adora molti dèi. Ma nella Bibbia l'idolatria è qualcosa di più sottile e di più subdolo: non è tanto piegare il ginocchio davanti a una statuetta d'oro o di legno; non è neanche adorare il vitello d'oro; è piuttosto ergere il proprio Io al posto di Dio. Al fondo di ogni idolatria, c'è l'autolatria, "l'amore di sé spinto fino al disprezzo di Dio" (s. Agostino). Poi questa idolatria si concretizzerà nel mettere al posto di Dio - o affianco a Dio - il Dio danaro, il Dio piacere, la dea immagine, la dea efficienza, il Dio successo...
Di qui il "correre, competere, confliggere".
Stanno venendo tempi - e sono già venuti - in cui essere cristiani è sinonimo di missionari, tanto diventa poco concepibile un cristiano che non è in stato di missione.
La missione non è solo l'annuncio di un dono, ma un dono che si fa annuncio. Che cosa ne stiamo facendo del dono della fede? Noi vediamo o diciamo di vedere; noi crediamo o crediamo di credere

PUBBLICATO 09/03/2010

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