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Delitto Gencarelli, il capitano dei carabinieri: «Così prendemmo i killer»

Alessandro Bozzo
Foto © Acri In Rete
Ci sarebbero ben pochi dubbi sul fatto che sia Ferdinando Gencarelli, detto Gino, impiegato comunale ad Acri, l’autore dell’omicidio di Natale Sposato alias Lupin, avvenuto poco prima della mezzanotte del 26 settembre del 2008 in contrada Pietremarine di Acri. Ne è convinto il capitano Adolfo Angelosanto, comandante della compagnia di Rende, l’uomo che dal settembre del 2009 diresse le indagini sotto il coordinamento del pubblico ministero Salvatore Di Maio.
L’ufficiale dell’Arma sè stato sentito ieri pomeriggio al processo che si sta celebrando in Corte d’assise. Ha ricostruito le fasi delle indagini che portarono all’arresto dell’imputato (Ferdinando Gencarelli è difeso dagli avvocati Marcello Manna e Angelo Pugliese). Un esame lungo, partito dai sospetti iniziali, dai tentativi di depistaggio, dalle difficoltà incontrate nell’ascoltare le intercettazioni dovute a problemi tecnici, dalla difficoltà nel tradurre il dialetto di Acri e dalla strana omertà dei testimoni, persino dei familiari della vittima, ma soprattutto del fatti che gli indagati e i familiari di Lupin sapevano di essere ascoltati. Alla fine, però, furono proprio le intercettazioni a fornire i riscontri necessari a incriminare l’impiagato dell’ufficio tecnico comunale. Perché confermarono le dichiarazioni rese dall’anziana madre di Natale Sposato. Fu lei, più di un anno dopo a mettere i carabinieri sulla pista giusta. Lupin venne assassinato da due colpi di fucile esplosi da una decina di metri di distanza.
Due colpi esplosi in rapida successione: il primo lo centrò la vittima alle gambe, la seconda rostata di pallini, invece, lo prese a petto. E’ possibile che Gencarelli – ammesso che sia davvero lui l’assassino – non volesse uccidere Sposato ma soltanto gambizzarlo poiché stanco di subire continui furti nel suo podere, l’ultimodei quali un sacchetto di noci del valore di circa 12/15 euro.
L’arma usata per il delitto sarebbe un fucile da caccia automatico di marca Franchi, canne sovrapposte. Non vi è la certezza in quanto non vennero eseguiti i necessari rilievi balistici a causa di un presunto caso di depistaggio del quale si sarebbe reso protagonista un maresciallo in servizio in quel periodo alla stazione di Acri, indagato per favoreggiamento in altro procedimento.
I carabinieri, infatti, indirizzarono i propri sospetti fin da subito su Gencarelli, in quanto alcuni testimoni riferirono di una lite avvenuta il giorno del delitto per un furto nel podere dell’imputato. Due giorni dopo il delitto – ha riferito il capitano Angelosanto – tre carabinieri si recarono a casa di Gencarelli per una perquisizione. Trovarono due fucili da caccia calibro 12 di marca Franchi, una carabina ad aria compressa e i relativi munizionamenti. Sembra che quelle armi non venivano usate spesso, visto che il porto d’armi era scaduto. Eppure i carabinieri si accorsero che l’interno delle canne di uno dei due fucili era pulito, mentre nell’altro c’erano polvere e ragnatele. I due fucili vennero ispezionati in caserma ma non sottoposti a sequestro, tanto che il giorno seguente vennero inspiegabilmente restituiti a Gencarelli.
Ed è proprio il “capitolo”depistaggi la parte più interessante della lunga deposizione del capitano Angelosanto riguarda il fatto che stufo delle continue fughe di notizie (gli intercettati sapevano di essere ascoltati) il pm Di Maio formò un pool di investigatori guidati dallo stesso Angelosanto che per quella indagine rispondeva soltanto alla Procura. Il processo riprenderàil 4 maggio prossimo.

PUBBLICATO 17/04/2012

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