OPINIONE Letto 1703

Invidiata Sila


Foto © Acri In Rete



Una giornata per evadere dalla cronaca luttuosa, per non vedere il disastro della guerra e non piangere con i fuggitivi, per godere la pace che inebria il cuore. Niente trombe di guerra oggi, mi basta il mormorio del ruscello e il fruscio del vento tra i rami. Prima di riempirmi gli occhi del magnetismo che emana la perla di Calabria, ho recitato una preghiera di desiderio: “Signore, fammela vedere come l’hai pensata e creata Tu, non come l’abbiamo ridotta noi”. In quel momento mi era tornato in mente lo slogan della Rivoluzione culturale cinese: “grande è la confusione sotto il cielo”. Da appassionato Micologo, ho calpestato la Sila in lungo e largo. Ma la sua vera bellezza l’avevo solo sfiorata. Ho voluto ripercorrerla comodamente seduto in poltrona perché le gambe, dopo l’ictus, rifiutano i lunghi passi. Parto dalla visione generale e reale: floristica e faunistica. Questa visione è accompagnata da ipnotica melodia che nasce tra gli aghi di pino al soffiare del vento. Il crescendo melodico è ampliato dalla varietà arborea: il pino laricio, il fronzuto leccio, l’annoso castagno, lo svettante abete dalla linfa odorosa: qui anche l’erba dà fiato al dolce flauto. E poi? Il gorgoglio di cascate e cascatelle del Neto, del Crati, del misterioso Mucone: vedute di maestà selvaggia, e qui sono racchiusi millenni di fantastica storia non inquinata. Di notte, a volte, si sente l’ululato del solitario lupo, di giorno volano corvi e cornacchie, l’irrequieto scoiattolo polarizza gli sguardi. La Sila era, e in parte lo è ancora, approdo di numerose varietà di uccelli migratori: arrivavano, si dissetavano, riprendevano forza e via verso zone più calde. L’amenità delle tre Vallate rifiuta gli aggettivi qualificativi. La Sila Greca, oltre alla vastità arborea, è riserva alimentare, assicura sussistenza alle numerose comunità variamente sparse nella fascia pre silana. Giustamente Nicola Misasi la definisce "gigantesca mammella che disseta e nutre i moderni Bruzi”. “Sila grande racchiude Arvo, Ampollino, Cecita. Qui la bellezza sembra si sia comodamente posata per lasciarsi ammirare: panorama esteso, orizzonte senza limiti, si perde in lontananza. Siamo circondati dallo splendore della “Verde Sila”, gelosi corvi volano in alto disturbati dalle nostre numerose presenze, a sera, è armonioso il concerto delle rane che sale dal laghetto, ma intenso. Qui ci si riempiono gli occhi e il cuore, la mente vola sulle belle alture. Il fasto della natura avvolge nel mistero della bellezza. La prima enegia che ha illuminato le nostre case era prodotto dei tre laghi. Il turista si disseta alla sorgente e dice: “omnia mea mecum porto” (porto tutto con me). Il sole è sfinito, vuole tuffarsi nel bosco con flessuosa grazia, è ora del ritorno e lo sguardo raccoglie le ultime vedute che conserverà nello scrigno della memoria. Ritorno col silenzioso passo voluto dall’oscurità. Sembra di essere ammantati da immutabile bellezza, il tempo non corrode le cose belle, è la furtiva mano dell’uomo che appanna e distrugge. La bellezza naturale arricchisce con la luce, non a caso il primo comando di Dio Creatore fu “sia la luce” (Gn 1,3). La luce apre l’immensa finestra del Cielo e l’Incanto si mette davanti alla bellezza. Avanzando nell’invidiato Parco si acquista vigore, grazie all’onda di ossigeno e al silenzioso lavorio della clorofilla. Qui il rispetto è legge dominante, osserviamo l’amico gatto, copre sempre di terra i suoi bisogni. Siamo invidiati, rammarico di non avere quello che noi abbiamo. Di Sila ce n’è una sola ed è nostra, e Acri ha la sua bella fetta, è dono da custodire, è la superficie migliore per noi e per chi viene da noi. La bellezza è bene comune, la ricchezza è prepotenza privata. La bellezza irrora il cuore di tutti, ma… il pericolo dorme con un solo occhio: difendiamola e proteggiamola. Respira pure, gentile turista, il suo ossigeno dona salute. Si esce dalla Sila accompagnati da dolce musica, ecco come: nasce sulle panoramiche alture delle montagne, si anima nell’attraversare le pinete, cresce al gorgoglio delle cascate, si adagia nell’ubertosa pianura, e a passo lento entra e si ferma nel cuore. La beltà di questa dolce melodia sprigiona un grande grazie: “oggi ho visto e toccato la bellezza, mi ha abbracciato e mi ha fatto vedere la sua grande cornucopia. ancora un grazie”. P. Leonardo Petrone

PUBBLICATO 02/05/2022  |  © Riproduzione Riservata

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