OPINIONE Letto 2636

C’è ancora domani


Foto © Acri In Rete



Mercoledì primo novembre ore 16:50, con mia moglie siamo all'ingresso del cinema. Il film comincia alle 18:00, ci hanno però consigliato arrivare molto prima perché c'è da fare una lunga fila per acquistare i biglietti, il film va forte. In effetti, le persone fila ci sono, ma non sono più di quindici. Avrei dovuto immaginarlo che si tende sempre ad esagerare!
Poco male, una manciata di minuti e faccio i biglietti. Mi giro e, incredibilmente, dietro di me si sono posizionate almeno sessanta persone, altrettante sono fuori dal cinema che aspettano il loro turno. Pazzesco! 
In pochissimo tempo la situazione è radicalmente cambiata. L’ingresso in sala viene consentito però solo a una manciata di minuti prima dell’inizio del film, ci tocca fare che comunque la fila. Per fortuna l’inizio è puntuale.
I due protagonisti, Valerio Mastandrea e Paola Cortellesi, sono nel letto di una casa modesta. Lei accenna un buongiorno, lui come risposta le molla una sberla in faccia senza proferire parola. Siamo solo alla prima scena ma il percorso narrativo è tracciato. Ivano è un marito violento, Delia è la moglie che subisce in silenzio. Il film è girato in bianco e nero come il vivere incolore di molte famiglie delle borgate di una Roma del secondo dopoguerra. Siamo nel 1946, gli americani presidiano ancora le strade della capitale. La casa è quella di una famiglia che vive sotto una influenza fortemente patriarcale. Delia è una donna semplice ma genuina nell’agire. Come quasi tutte le mogli dell’epoca, è consapevolmente sottomessa al marito, uomo rozzo e ignorante oltre che violento. Cresce tre figli e accudisce il suocero, primo patriarca, allettato e brontolone. Tuttavia, per quanto sia una donna quotidianamente vessata e spesso picchiata, conserva una spontaneità che nel film la rende empatica ai vicini di casa come al pubblico in sala. 
Per quanto rassegnata, non si perde mai d’animo e si dà da fare per portare a casa qualche soldo. Ha un’amica “del cuore”, Marisa, più fortunata di lei sia sotto l’aspetto economico che matrimoniale, con la quale Delia si confida. Coltiva, ricambiata, un amore platonico per il suo ex fidanzato che fa il meccanico. Quando passa davanti all’officina, i due si scambiano tenerezze con gli occhi, come timidi adolescenti.
La vita è scandita da riti e dinamiche sempre uguali. Fino a quando non intervengono alcuni elementi a modificare gli eventi: L’incontro fortuito con un soldato americano; la figlia che deve ufficializzare il fidanzamento con ragazzo benestante; la morte del suocero (paradossalmente è il momento nel quale si ride di più); l’ex fidanzato che vuole chiudere l’officina per emigrare al Nord; l’arrivo di una lettera che rende Delia emozionata e felice.
Paola Cortellesi da regista racconta con una nuova forma di realismo e da attrice protagonista ci fa attraversare il destino di moltissime donne condannate all’ergastolo del matrimonio, con “l’uomo sbagliato”, quindi, non un compagno con il quale condividere un progetto di vita, ma un padrone cinico con potere assoluto sull’ esistenza delle donne di casa. Il film è girato con i ritmi giusti ed è coinvolgente. Spesso si ha la sensazione di non essere più uno spettatore, ma di essere parte integrante della storia.
Il finale potrei raccontarlo solo a patto che giuriate davanti a un Notaio che non siete intenzionati ad andare a vedere il film. Altrimenti, vi assicuro non mi perdonereste mai di averlo svelato.
Dovete credermi sulla parola e andare al cinema, magari con chi amate. Fidatevi, mi ringrazierete.

PUBBLICATO 04/11/2023  |  © Riproduzione Riservata

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