La medicina non è cosa diversa dal mestiere della vita di tutti i giorni, ha le sue regole, alcune di logica e altre scaramantiche e, anche per questo, forse, è una Scienza inesatta.
C’è chi cede alle “credenze” e c’è chi crede, quando s’avverano, che siano tutte, solo, maledette coincidenze, sempre.
Roberto, un mio esimio collega, un bisturi d’oro, ha sempre seguito una regola “io non opero di venerdì 17” e ce n’è un’altra, mai scritta in chirurgia, anche questa valida per chi non crede alle coincidenze, come Robi: “non operare mai gli amici o i colleghi, la complicazione è dietro l’angolo!”
Lei è una mia amica, suo marito è un mio amico, la sua unica figlia è una mia amica e, nessuno di loro, ha mai avuto dubbi da quando il rumore del male ha iniziato ad urlare alla loro vita:
“angelo, ci fidiamo di te, tu sei il nostro amico, il nostro medico!”
L’intervento ha avuto una complicazione, la peggiore che potesse esserci, è stata operata un’altra volta.
Io non c’ero, le ferie erano state programmate da prima della diagnosi, l’intervento non poteva aspettarmi ma io non avrei saputo fare di meglio, anche il chirurgo più bravo non può far nulla difronte al destino.
Quando ritorno, lei è la mia prima stanza.
“Ciao, come stai?”
“Bentornato, insomma, dai, benino, mi fa male il fianco sinistro”.
È immobile sul lettino, il movimento le provoca dolore ma lei è gentile, educata, sopporta, non si lamenta e, quando proprio non riesce a trattenere la smorfia di sofferenza, mi dice “scusa!”
“Sta bene, gli esami sono normali, il sacchetto funziona, ha solo un po’ di dolore” tutti mi tranquillizzano, io, però, mi sento in colpa e sento anche di più, il dolore al fianco non mi fa stare per nulla tranquillo.
C’è la Scienza, gli esami del sangue, la TAC e poi c’è l’uomo e il suo istinto e, in medicina, come nella vita, non è sempre una coincidenza che lui abbia ragione e, adesso, il mio mi sta dicendo “no, la tua amica non mi piace!”
Il mestiere del medico, quello del chirurgo, un paio di volte nella tua carriera, ti lascerà da solo a decidere e quei giorni, e tutti i suoi minuti, non li dimenticherai, mai, e io li ho contati tutti, uno per uno.
Sei tu contro quello che dicono tutti e contro tutto quello che è stato fatto, e che era giusto fare, fino a questo incrocio, solitario: “e, adesso, io cosa faccio?”
Chi non ha scritto la regola, non ha scritto, nemmeno, come rispondere a chi ti dice “sei troppo preso, è una tua amica!”
È passato un altro solo giorno.
Il dolore c’è ancora e gli esami non sono più normali “ci sta, sono i primi giorni, succede!”
È vero, succede, penso “è una mia amica, è colpa mia, la sto prendendo male” maledico il giorno in cui non ho creduto alla regola e comincio ad avere un dubbio “e se l’istinto avesse ragione?”
È un altro giorno ancora.
Sono smontato dalla notte, è andata anche bene, un paio d’ore ho dormito, c’è il sole, ho diritto al riposo e ci sarebbe un solo programma, fa davvero caldo, c’è la piscina ma c’è lei.
Lei, ieri, aveva la febbre, a nuotare ci andrò un’altra volta, il pensiero mi sta facendo affogare.
Entro in reparto, sta iniziando il giro degli infermieri, c’è confusione, la solita, è la mattina che si sta svegliando e io ho bisogno di un buongiorno.
Leggo le consegne con un filo di speranza, questa mattina la sua temperatura è normale.
Scorro gli esami sul pc, uno alla volta, come fa un pokerista, una carta alla volta, e sono migliorati, di poco ma sono migliorati, “di poco ma sono migliorati” me lo ripeto come una preghiera buddista.
Entro nella sua stanza.
“Come stai?”
Mi risponde ma io non la sento, ha un filo di voce.
“Sei stanca?” accenna un sorriso, muove la testa, è un “sì” che aggiunge cemento a presa rapida al dubbio: il filo si sta rompendo?
Esco in corridoio ma non c’è, ancora, nessun collega, ho bisogno di un consiglio, vado, poi, in giardino, ho bisogno d’aria, finisco allo spaccio, ho bisogno di un caffè, endovena.
Mi appoggio sul bancone “doc, buongiorno, la gà vedo pensieroso!”
È Lorenza, la barista, il suo accento veneto mi mette sempre di buon umore, oggi, un filo di meno.
“Si, Lori, non so che pesci pigliare!”
È solo, adesso, che mi accorgo di aver pensato ad alta voce perché lei mi risponde “ah, dutùr, non lo dica a me, sono due giorni ghè dico al mio moroso cosa facciamo questo week end e lui me dise sempre da no a tutto e, allora, ho deciso che faso de testa mia, domani vago al mare, da sola”.
Mi versa il cappuccino, lo bevo quasi tutto d’un fiato.
“Ciao Lori e grazie” mi sorride “grazie a lei dutur, era buono il cappuccino?” adesso, sorrido anche io, di più di un filo “lo fai sempre buono ma, oggi, era buonissimo!”
Esco dal bar e ho deciso ma mi arriva un messaggio, è un mio collega “ho visto gli esami, va meglio, io aspetterei ancora oggi, non ha più la febbre”, ma io avevo già deciso ma lui non ha sentito la sua voce, mi ritorna il dubbio.
Non ho mai contato i passi che separano lo spaccio dal reparto, forse potranno essere più di cento, più di mille ma sono di sicuro meno, molto meno di un pensiero soltanto:
“faccio di testa mia?”
Squilla un’altra volta il telefono, è il mio primario, adesso, è lui che è in ferie e le sta vivendo malissimo “Angelo, ho visto gli esami, io ritorno tra due giorni, prima non posso, cosa vuoi fare?” e io “preparo la sala, non aspetto più” c’è solo un attimo di silenzio “fai quello che credi più giusto!”
Rientro nella sua stanza “amica mia, c’ho pensato, mi dispiace, è andata così ma io ti riporto in sala, adesso, questa mattina, così non va” e lei con un ultimo filo di sorriso “angelo, va bene!”
Sono passati dieci giorni e io ho certezza di quante ore sono pieni.
Le ho spinte una per una, prima piano, pianissimo, lei dormiva, doveva riposare, ritrovare calma, poi, ha iniziato a muovere gli occhi, c’era sempre una gocciolina che scendeva dai suoi angoli, poi, a respirare le parole e, poi, a stringermi la mano, sempre più forte e, allora, ho cominciato a lasciare che il tempo andasse da sé perché si, questa era la strada giusta.
Io, intanto, scorrevo gli esami ed ho sempre temuto un bluff ed è stato un drammatico e meraviglioso conto alla rovescia.
Ogni giorno erano un po’ meglio, “sì anche oggi sono un po’ meglio ma vediamo domani” era la mia preghiera del mattino, era atea, cristiana, musulmana, fino ad oggi!
E chi lo dimenticherà più, oggi!
Oggi, finalmente, gli esami sono tornati tutti normali, tutti e io ho stretto i pugni e avrei voluto correre anche io all’impazzata, come Tardelli, entrare nella sua stanza e gridare “gooooool, gooool, gooool!”
“Ciao, come stai?”
“Ciao Angelo, oggi, benissimo”
La voce la sento tutta perche, dall’orecchio al cuore, il passo è brevissimo ma io ne ho voglia di sentire più “sei sicura?” e lei “sei il mio amico, non ti dico bugie!” e ride perché, dal cuore alla bocca, il passo è ancora più breve.
Accanto c’è il marito, il mio amico, lo chiedo anche a lui, ho bisogno di una conferma: “come la vedi?”
E lui “è tornata quella di prima” le parole gli tremano l’anima.
Lui è grande e grosso e quando giochiamo in coppia a tennis è anche burbero, vuole sempre vincere, qualche punto lo chiama fuori e, invece, è linea.
Prima di entrare in sala operatoria mi aveva detto “stiamo insieme da quarant’anni, non saprei cosa fare senza di lei, fammela riportare a casa”.
Era la sua partita più importante, era anche la mia, nessuno dei due voleva perderla ma prima di incidere la cute ho pensato: “è la scelta giusta?”
È linea?
Stamattina sono tornato allo spaccio, c’è Lorenza “dutur, buongiorno, il solito?”
Sorrido “si, Lori, il solito, il tuo cappuccino è il migliore, non cambiare mai di farlo così!!!” e lei “ah, nun se preoccupi, io faso sempre di testa mia”, sorrido “anche io” ma questa volta l’ho solo pensato.
La vita di tutti noi ha le sue regole, logiche o no che siano, e c’è chi ci crede, e fa bene, e c’è chi fa di testa sua, e fa bene comunque, perché in fondo ce n’è una sola che vale per tutti, medico o barista che tu sia, è la più antica e la più semplice:
“Tutto è bene, quel che finisce bene!”