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Ospedale, crescono i timori.

Piero Cirino
Foto © Acri In Rete
Nei giorni scorsi il presidente della giunta regionale e commissario alla Sanità, Giuseppe Scopelliti, ha convocato una conferenza stampa per dire ciò che aveva già detto qualche mese fa presentando il Piano di rientro dal debito della sanità: che gli ospedali di montagna non chiuderanno. Non ha tuttavia detto quali prestazioni saranno in grado di erogare.
Non ha cioè spiegato se manterranno gli stessi standards oppure se saranno ridimensionati, se saranno ospedali generali o semplici presidi per le emergenze. In sostanza, proprio in virtù della scarsa chiarezza su cosa questi nosocomi dovranno fare, ciò che avrebbe dovuto tranquillizzare le comunità di Acri, San Giovanni in Fiore, Serra San Bruno e Soveria Mannelli ha invece gettato un'ombra sinistra sulla possibilità che i cittadini interessati in queste strutture continuino a curarsi.
Sentire il dovere di ribadire quanto sembrava già acquisito incute inquietudine.
Quello che ad Acri invece fa pensare, e pensare male, è che finora nessuno se n'è preoccupato. Mentre a San Giovanni in Fiore si mobilitano associazioni, partiti politici e comitati, organizzando fiaccolate, sit-in e manifestazioni di protesta, ad Acri si aspetta Godot.
Quando, qualche settimana fa, il pericolo era unicamente circoscritto al reparto di Ostetricia e Ginecologia si era registrato solo qualche sussulto, con la speranza che le rassicurazioni del sindaco Gino Trematerra bastassero a respingere il pericolo chiusura.
La storia del secolo scorso della comunità acrese è punteggiata di lotte, spesso vinte, per la rivendicazione di diritti sacrosanti e l'atteggiamento dimostrato in occasione della vicenda ospedale è tutt'altro che in linea con quelle battaglie.
Al di là dei ragionamenti fatti con la calcolatrice in mano, così come appurato dalla stessa commissione regionale della Sanità in una recente visita, l'ospedale non solo funziona in maniera efficiente, ma laddove è possibile farlo fa coincidere la qualità delle prestazioni con il contenimento dei costi.
Non è un caso, se, ad esempio, qui si registra una media di parti cesarei del 25%, a fronte del 50% regionale, con tutto ciò che ne consegue. Anche in termini economici.
Se per davvero dovessero avverarsi le più pessimistiche previsioni, con una struttura ridotta a soli venti posti, per la sola Medicina, e con un Pronto Soccorso dipendente da un altro ospedale, con le condizioni orografiche in cui versa e le strade che si ritrova, ad Acri la questione non si limita solo a un servizio di pubblica utilità, ma diventa autentica emergenza sociale.


Fonte: "Il Quotidiano della Calabria" del 02-01-2011.


PUBBLICATO 03/01/2011

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