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Il nuovo lavoro di Massimo Conocchia

Foto © Acri In Rete
Vincenzo Rizzuto
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Con grande piacere ho dedicato tanta attenzione alla lettura dell’ultimo lavoro letterario-scientifico dell’amico Massimo Conoc-chia, appena pubblicato per i tipi della Rubbettino, con il titolo: “La malaria in Calabria tra fine Ottocento e primo Novecento…”, Soveria Mannelli, 2017, corredato da una pregevole, minuziosa prefazione del Prof. Pasquale Tuscano.
L’opera offre un quadro meticoloso e impressionante delle miserabili condizioni di vita che conducevano soprattutto le popolazioni calabresi nel periodo preso in esame, condizioni ricostruite attraverso una certosina ricerca di originali e preziose fonti, che spaziano larghe e fatte proprie . E queste ricerche hanno varie provenienze: dai dibattiti parlamentari alle opere fondamentali degli studiosi più accreditati della cultura meridionalista, come Salvemini, Giustino Fortunato, Zanotti Bianco ecc..; oltre che degli studiosi della scienza medica nonché della malaria come l’eroico Pietro Timpano, Francesco Genovese, Tiberio Evoli ed altri benemeriti medici “anargiri”, che nell’opera di Conocchia vengono opportunamente portati all’attenzione del lettore per la loro dedizione disinteressata alla cura di poveri ammalati.
Tutta la mole di queste fonti è utilizzata da Conocchia con sorprendente perizia, fatta non solo di spiccate capacità discorsive ma anche di robusto spirito critico, esercitato in lungo e in largo tra storia, costume, antropologia e analisi medico-scientifica delle varie patologie epidemiologiche che colpirono le popolazioni meridionali, falciandone larghe fette prima e dopo la prima Grande Guerra per le miserabili condizioni di povertà in cui vivevano, come ad Africo dove, ancora nel 1941, su 41 nati ne morirono 41 per varie patologie legate per lo più a mancanza totale di adeguata tenuta igienico-sanitaria.
Sì, quest’ultimo lavoro di Conocchia sulla malaria e dintorni mi ha davvero impressionato e tenuto con il fiato sospeso dalla prima all’ultima pagina non solo perché nell’opera si citano in modo emblematico le innumerevoli informazioni scientifiche su tante patologie, squadernate al lettore anche non addetto ai lavori, ma pure per la puntuale ricostruzione storica in cui le varie calamità sono avvenute; una ricostruzione storica che non ti aspetteresti da un medico, la cui professione non è certo quella di andare per archivi e atti parlamentari come invece fa magistralmente Conocchia.
Evidentemente ci si trova di fronte allo studioso di tipo “rinascimentale”, la cui cultura si nutre contemporaneamente e felicemente di scienza e di lettere, che nel loro significato più completo e originale non possono essere evidentemente separate in compartimenti stagno come vorrebbe buona parte della cultura contemporanea, chiusa in isole che non comunicano fra di loro.
Ebbene, Conocchia in questo suo lavoro dimostra che non solo la medicina ma qualsiasi altro sapere è monco e non può fare nessun passo in avanti se non si informa e non si fonde con tutti gli altri saperi in una sintesi, sì difficile, ma ineliminabile. E Conocchia piace e convince proprio perché è alla continua ricerca di questa sintesi, di questa armonia, e non si isterilisce in un sapere a senso unico, in cui il superspecialista del lobulo esterno dell’orecchio sinistro non è in grado di visitare il lobulo esterno dell’orecchio destro!
Un pericolo, questo, da cui bisogna sempre cercare di stare il più lontano possibile, pena la perdita di ogni possibile conquista della verità.

PUBBLICATO 16/12/2017 | © Riproduzione Riservata





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