In ricordo dell’ospedale


Angelo Bianco

Riceviamo e pubblichiamo. Gentile direttore, caro amico di adolescenza, Roberto. C’era una volta il mio ospedale, il Beato Angelo. Acri non è un paese piccolo, le strade che lo collegano a Cosenza erano da girone infernale e per tutti noi percorrerle in urgenza era sempre insieme ad una preghiera di speranza. L’ospedale è stata una conquista attesa da sempre, l’orgoglio per la nostra comunità, l’emancipazione dal dolore acuto, il nido paesano alle cicogne acritane. Ai miei occhi di bambino sembrava un edificio enorme, mi incuteva rispetto, i dottori evocavano fascino, era un luogo sacro, chissà forse la mia passione è nata sognando le gesta che mi parevano eroiche che si consumavano tra quelle mura. Ricordo la vita che ne animava l’indotto, i bar che ristoravano l’attesa di un intervento chirurgico, di una visita qualunque, le code mai fuori posto, tutti noi ne abbiamo tratto benessere. L’ospedale era la nostra cintura sicura di protezione, nessuna eccellenza ma tanta coscienza, non aveva altra pretesa che rappresentare al meglio le esigenze di un paese del sud, dove c’era poco ma dove non mancava niente, noi ci fidavamo, eravamo in un girone paradisiaco. Nessuno mai avrebbe pensato che un giorno sarebbe tutto finito, fine delle cicogne, fine di un caffè in più da consumare, fine di ogni reale offerta ospedaliera. Oggi resta la forma, la promessa, la battaglia, la speranza. Abbiamo ceduto alla politica della razionalizzazione sanitaria, si diceva, meno posti letto, più territorio ergo più qualità e invece è stato solo il tradimento, svenduti da ultimi per i primi che non siamo più stati, è tornato l’incubo infernale perché anche le strade non sono poi così migliorate, anzi. Il Beato Angelo non è l’unico esempio, il dissesto sanitario è derivato dal lucchetto imposto ad altri ospedali calabresi (e di altre regioni). La sanità è stata terra di facile conquista e le scene grottesche cui stiamo assistendo rendono ragione del perché: l’assenza di una classe dirigente capace e fiumi di soldi che hanno invaso le tasche di pochi eletti e che (sigh ) continuiamo ad eleggere, mandando di contro in secca la legittima ambizione ad una sanità moderna, senza sprechi e con più risorse umane e tecnologiche. Oggi desta meraviglia l’intervista di un generale Giuda, l’ennesimo, mentre ai miei occhi di uomo adulto desta più meraviglia la mia coscienza impotente di calabrese umiliato che non ha più il suo ospedale ma conserva l’orgoglio per la sua terra e gli resiste la passione per il suo camice, che il Beato Angelo protegge e non tradirà mai nelle sue preghiere e perché forse questo è rimasto al mio paese e forse all’Italia tutta: pregare e resistere.
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PUBBLICATO 10/11/2020 | © Riproduzione Riservata

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