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La filosofia in tutte le scuole?

Foto © Acri In Rete
Vincenzo Rizzuto
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Lo studio della filosofia, oggi appannaggio solo dei licei e di qualche istituto tecnico con mini-sperimentazione interna, sarebbe cosa auspicabile in tutte le scuole, naturalmente a certe condizioni.
La disciplina infatti servirebbe sicuramente a fornire ai giovani strumenti più solidi di decodificazione di tutta la realtà attraverso analisi più raffinate e critiche, di cui necessitano non solo gli studi umanistici, come erroneamente si crede, ma anche e sopra tutto gli studi tecnico-scientifici, come da sempre dimostra l’esperienza, acquisita da molti studiosi della ricerca teorica e pratico-operativa.
Nella cultura del mondo antico greco filosofia e scienza costituivano un sapere unico, e il filosofo racchiudeva nella sua conoscenza tutto lo scibile; in seguito, nei secoli successivi il sapere scientifico iniziò a staccarsi dalla cultura umanistica, e lo scienziato si identificò sempre di più con lo studioso del sapere fisico-matematico, anche se, ancora nel XVII secolo, con Cartesio e Leibniz filosofia e scienza risultano ancora fortemente unite: entrambi infatti non sono soltanto filosofi, ma anche importanti matematici; Leibniz addirittura progetta una delle prime calcolatrici meccaniche e inventa il calcolo infinitesimale.
A partire dal secondo Ottocento cultura umanistica e scientifica hanno subito una divaricazione e si sono spesso chiuse in compartimenti stagni; una tendenza, questa, indotta dall’enorme mole delle nuove conoscenze sperimentali, il cui dominio non poté più essere nelle mani di una sola mente, ma richiese una vera e propria ‘tempesta di cervelli’, il brainstorming anglosassone, un sapere di più studiosi, specializzati in singoli settori del sempre più vasto mondo del sapere scientifico.
Un fenomeno, questo, che, spinto oltre un certo limite, porta però ad una assurda polverizzazione del sapere stesso, tenuto conto che il soggetto che fa ricerca, sia nell’ambito umanistico che in quello fisico-matematico, è sempre l’uomo nella sua unità logico-gnoseologica.
Ora, proprio per questa intima unità della conoscenza, finalmente in questi ultimi decenni quella divisione fra sapere scientifico e sapere umanistico sembra si stia abbandonando con grande vantaggio di tutto lo scibile.
E proprio per tenere in piedi questa unità di tutti i saperi è auspicabile estendere in ogni tipo di scuola lo studio della filosofia, sentita come metodo di analisi critica, come strumento principe di decodificazione di ogni sapere, di cui avrebbero bisogno in particolar modo gli istituti tecnici e professionali, nei quali spesso si avverte forte la mancanza di analisi logica rigorosa dei linguaggi utilizzati nei saperi della ‘fattualità’.
Già nel suo ‘Tractatus…’ Wittgenstein chiarisce in modo esemplare che “Tutto ciò che si può dire bisogna dirlo chiaramente, e su tutto ciò che non si può dire chiaramente bisogna tacere”.
Il filosofo della Scuola di Francoforte, insomma, invoca ‘l’epoché’, cioè la sospensione del giudizio ogni volta che non si può essere chiari, e il sapere tecnico-scientifico ha bisogno di chiarezza estrema più di ogni altro.
Naturalmente, dicevo all’inizio, l’introduzione dello studio della filosofia negli istituti tecno-professionali può avere senso a certe condizioni, e cioè se esso è accompagnato da una più approfondita conoscenza linguistica, considerata certa povertà, assai diffusa, dell’armamentario espressivo in questi medesimi istituti, povertà che difficilmente potrebbe accoppiarsi con la filosofia.

PUBBLICATO 18/10/2021 | © Riproduzione Riservata





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