Sono con gli studenti


Vincenzo Rizzuto

Con i miei quarant’anni e più di convivenza con i giovani come docente prima, e poi come preside, già in pensione da tanto altro tempo, durante cui non ho mai smesso di seguire, sia pure dall’esterno, le vicende della scuola italiana, attraverso le sue varie peripezie nell’ambito della società e delle istituzioni, sono ancora pienamente convinto che essi hanno piena ragione a muoversi e ad ‘abbaiare’ nelle aule e nelle piazze ogni volta che la scuola viene trattata come la cenerentola, che non è presa mai sul serio da nessuno, e a cui ogni volta si promette tutto e poi non si dà nulla, come è successo finora.
E mentre scriviamo gli studenti infatti manifestano ancora una volta nelle piazze sull’onda della rabbia per la morte assurda del loro sfortunato compagno Lorenzo, sacrificato ad una delle trovate della ‘Buona scuola’ del ragazzo prodigio di Rignano; ma manifestano anche per l’esame di maturità, riportato alla ‘normalità’ con le due prove scritte, senza tenere presente che, da ben due anni, con la DAD di scuola se ne è fatta ben poca. Tutto questo perché sulla scuola vengono prese decisioni calate ogni volta dall’alto, senza tenere conto di tutto ciò che in essa realmente accade, senza concordare dal basso le varie decisioni con i soggetti che realmente operano ogni giorno nelle aule: gli studenti, i docenti, i presidi e tutte le altre figure che sostanziano la scuola; per non parlare dei vari ministri del Dicastero scolastico, i quali quasi sempre vengono nominati e operano senza avere nessuna competenza e idea di cosa sia la scuola nel fattuale svolgimento della sua opera formativa quotidiana. Un’opera che si concretizza sempre, al di là di qualsiasi riforma e regolamento, attraverso l’atto formativo che scaturisce di volta in volta tra docente e discente in mille modi diversi; un atto che è fortemente determinato in termini artigianali, personali, con l’intervento attivo dei due attori, da cui non si può mai prescindere. Da qui l’impossibilità di dare corpo attivo e davvero fattivo in modalità DAD. In tale modalità viene a mancare infatti l’incontro-scontro tra discente e docente perché non possono stare insieme, guardarsi, studiarsi per sentirsi soggetti attivi dell’atto educativo in termini anche empatici, condizioni indispensabili per la crescita dell’uomo pensante e cittadino del mondo, preparato a vivere con gli altri e per gli altri. La pratica DAD è del tutto mancante di questi rapporti, perché essa tende a fare del soggetto una monade a sé stante, non abituata a stare con gli altri, che rischiano così di essere considerati estranei e ostili. Ma la scuola pubblica italiana oggi non soffre soltanto per i guasti e i ritardi indotti dalla terribile pandemia, essa soffre anche di ritardi ormai storici, che nessun governo dell’era repubblicana ha voluto mai affrontare e risolvere seriamente: strutture fatiscenti, corpo docente e non docente mal pagato e lasciato solo senza adeguata e continua preparazione; obbligo scolastico non fatto rispettare specie nelle periferie delle grandi città, dove si assiste ad un analfabetismo sempre più diffuso e preoccupante per la mancanza pressoché totale di ogni difesa dei diritti dei minori, abbandonati a se stessi e troppo spesso abusati dalla delinquenza organizzata. E così non si è capito, o non si vuole capire che buona parte della delinquenza e violenza del mondo dei giovani e dei giovanissimi è dovuta proprio a questa scellerata politica di mancata, seria scolarizzazione, che inizia a fare acqua a partire dagli asili nido e dalle scuole materne, che sono la culla dove nasce e si sviluppa la civiltà di un popolo! Sindacati e Partiti di sinistra, società civile e Istituzioni non hanno mai voluto prendere in mano questi problemi, perché? E’ una domanda, questa, che ci stiamo facendo da decenni senza avere risposta alcuna. |
PUBBLICATO 05/02/2022 | © Riproduzione Riservata

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