Casa
fra Piero Sirianni
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La realtà della casa rimanda, oggi, ad un tema antropologico di grande attualità. Esso – come i tanti altri segni dei tempi – è indice di un radicale cambiamento d’epoca: civile, antropologico, sociale, religioso, valoriale; da pochi decenni a questa parte, ci siamo gradualmente abituati ad usare il termine “appartamento”, in sostituzione del precedente “casa”: esso è lo specchio delle nuove costruzioni che dominano i nostri centri abitati, luoghi che riescono ad occupare meno spazi (un volume inferiore) e ad ospitare persone e nuclei familiari.
Tuttavia, l’espressione “appartamento” già in se stessa veicola l’idea (ed il messaggio) di una realtà “appartata”, a parte dal resto. Essa traduce, in fondo, la tendenza societaria a pensare sempre di più (e quasi esclusivamente) al proprio e molto raramente all’altro-da-sé o – men che meno – al bene comune. Il presente stile di vita è ormai l’ossigeno che si respira da decenni nelle città; ed è pure la strada che si sta aprendo nei più piccoli centri urbani. Sono venuti meno – nel nostro contesto – la solidarietà civile e l’interesse per il vicino (l’altro in genere). Ricordo, invece, di aver ereditato una pagina di storia di mia nonna paterna, abitante di piazza Falcone: quando lei sfornava i pani e le pitte dal forno del magazzino di casa, ognuno che passava per quella medesima strada era obbligato ad una breve sosta ed a cibarsi del preparato (così come facevano tutti i vicini di casa ed i parenti). Questi tipi di atteggiamenti dicono – senza troppe parole – che la casa è per tutti; in essa c’è posto per ognuno, c’è gratuità, c’è vita donata. Invece, da qualche settimana a questa parte, vediamo immagini e video di case distrutte dalle bombe, di vite spezzate, di sacrifici che vanno in fumo; la casa, per la quale un uomo investe le proprie forze ed energie, viene spazzata via dalla forza dell’odio e della violenza. La tradizione ebraica ci consegna una fede salda nella provvidenza divina: Egli edifica la vita del popolo, la sua presenza è la sua forza; «Se il Signore non costruisce la casa, invano vi faticano i costruttori» (Sal 127/126,1). Gesù di Nazaret si intratteneva volentieri nelle case, condivideva i pasti a tavola, annunciava la Parola, guariva dalle infermità; il racconto marciano così riporta: «Entrò di nuovo a Cafàrnao, dopo alcuni giorni. Si seppe che era in casa e si radunarono tante persone che non vi era più posto neanche davanti alla porta; ed egli annunciava loro la Parola» (Mc 2,1-2). Ogni persona umana avverte il bisogno di “sentirsi a casa”; di “fare casa” quando sta progettando un futuro lontano dal solipsismo. La vita, inoltre, ci chiede – spesso – di aprire le nostre case (non solo concretamente), di allargare gli spazi del nostro cuore. Ed è ciò che ci auguriamo: credere in questo ed incarnarlo nelle nostre scelte ed azioni concrete e quotidiane. |
PUBBLICATO 04/04/2022 | © Riproduzione Riservata

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