In Sila la sabbia del Sahara. Motivi e pericoli
Roberto Saporito
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Nei giorni scorsi, su rinnovabili.it, è stato pubblicato un importante studio di Mariantonia Bencardino, Antonella Tassone e Valentino Mannarino del Cnr Irpi di Rende sulla presenza di sabbia del Sahara in Sila e precisamente sul monte Curcio nel comune di Spezzano Sila. Qui, a circa 1800 m s.l.m., la stazione di monitoraggio, presente dal 2015, monitora da alcuni anni le variazioni chimico-fisiche dell’atmosfera. Le misure di materiale particolato a disposizione hanno mostrato recentemente un’importante incidenza, sia in frequenza che in magnitudo, di eventi associati al trasporto di sabbia sahariana. La lontananza dai centri urbani e l’assenza di influenza antropica diretta locale fanno di una stazione rurale di fondo un sito particolarmente interessante dal punto di vista scientifico per l’approfondimento delle conoscenze sulle concentrazioni di fondo che si registrano in atmosfera. Si legge su rinnovabili.it; “è evidente che la scelta di un sito così caratterizzato è stata motivata dalla possibilità di disporre di una vera e propria sentinella dell’atmosfera e del clima che, grazie alla propria posizione dominante sul resto del territorio, pressoché indisturbata da interferenze di sorgenti antropiche, fosse così capace di percepirne anche le più piccole alterazioni legate a condizioni climatico-ambientali. In linea con tale finalità, la stazione MCU rappresenta una delle oltre cento stazioni regionali attive distribuite su scala globale della rete di monitoraggio del Global Atmosphere Watch (GAW). Si tratta di un Programma dell’Organizzazione Meteorologica Mondiale (WMO) che ha come obiettivo la valutazione dello “stato di salute” dell’atmosfera, attraverso l’acquisizione sul lungo periodo di dati osservativi sulla composizione chimica e sulle caratteristiche fisiche dell’atmosfera. Oltre alle variabili meteorologiche, vengono monitorati i principali gas serra a lungo termine, quali il biossido di carbonio (CO2), il metano (CH4) e il vapore acqueo (H2O), che vanno ad aggiungersi agli inquinanti climalteranti a breve termine, quali l’ozono (O3) ed il Black Carbon equivalente (eBC), e ad altri gas in tracce, quali gli ossidi di azoto (NOx), il biossido di zolfo (SO2), il monossido di carbonio (CO) e il mercurio gassoso totale (TGM). Oltre ai gas sopra menzionati, una linea di monitoraggio viene dedicata al campionamento, con metodo gravimetrico, del materiale particolato nelle due frazioni granulometriche PM10 e PM2.5. Si tratta delle cosiddette “polveri sottili”, inquinanti atmosferici dalla natura complessa, per composizione, distribuzione dimensionale e molteplicità di sorgenti da cui hanno origine, nonché per la particolare criticità che destano in termini di rispetto dei valori limite stabiliti per la protezione della salute umana. Esaminando i dati del 2021, per il quale si dispongono di misurazioni del particolato per 244 giorni, sono state riscontrate concentrazioni al di sopra del valore limite giornaliero per ben 33 volte! L’impiego di opportuni modelli, accoppiati all’analisi delle retro-traiettorie delle masse d’aria intercettate, unitamente a mappe satellitari, hanno poi supportato con maggiore confidenza l’ipotesi che la maggior parte del particolato campionato nei giorni di superamento provenisse dal deserto del Sahara. Dalla distribuzione dei superamenti, si è potuto inoltre notare come alcuni siano stati registrati nei mesi primaverili ed autunnali mentre la maggior parte sia stata rilevata tra la fine di giugno ed i primi di agosto. Confrontando questi mesi del 2021 con gli stessi degli anni precedenti, in particolare 2016 e 2017, si è notato come nell’ultimo anno gli episodi di intrusione di dust sahariano siano stati non solo più frequenti ma anche più intensi. Tale evidenza è probabilmente da attribuirsi alla concomitanza di prolungate condizioni di ondate di calore che hanno caratterizzato l’estate 2021 e che, secondo quanto riportato nell’ultimo rapporto dell’IPCC (AR6), rappresenta una delle quattro categorie chiave di rischio climatico individuate per l’area del Mediterraneo. L’intrusione di polveri desertiche di origine sahariana (saharan dust) è un fenomeno che si manifesta in concomitanza di particolari condizioni della pressione atmosferica a scala sinottica, che vedono solitamente la presenza di un anticiclone subtropicale africano, la cui espansione verso nord richiama le correnti sciroccali. Sono quest’ultime le responsabili del trasporto di polveri che partendo dal più grande deserto caldo al mondo, il Sahara, riescono a percorrere centinaia di chilometri, raggiungendo i paesi del Mediterraneo e riuscendo spesso ad andare anche oltre. La loro deposizione sulla superficie delle foglie delle piante, ad esempio, ne inibisce la fotosintesi mentre sui pannelli solari ne determina la riduzione del rendimento. L’esposizione alle polveri di origine desertica è stata inoltre associata a problemi di irritazione della pelle e degli occhi, a disturbi cardiaci e respiratori, oltre che ad una varietà di malattie infettive e non-infettive. Da quanto esaminato non può che dedursi la stretta interconnessione tra inquinamento atmosferico e cambiamento climatico che, in modo figurato, non sono altro che due facce della stessa medaglia. È pertanto quanto mai necessario ed urgente adottare un approccio integrato rispetto a questi due ambiti della conoscenza e della ricerca scientifica, in modo da supportare efficaci azioni di mitigazione e di adattamento con cui si dovranno affrontare congiuntamente le importanti sfide della tutela dell’ambiente e della salute dell’uomo. Mariantonia Bencardino, Antonella Tassone e Valentino Mannarino, CNR-IIA. Hanno collaborato all’articolo: Francesco D’Amore, Maria Martino, Domenico Amico (CNR-IIA)
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PUBBLICATO 29/08/2022 | © Riproduzione Riservata

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