Corruzione elettorale. Il sindaco faccia un passo indietro


Nicola Feraudo

La notizia della richiesta, da parte del Procuratore della Repubblica di Paola Pierpaolo Bruni, della più afflittiva delle misure cautelari, il carcere, nei confronti del sindaco Pino Capalbo, sebbene immediatamente rimbalzata su tutti gli organi di stampa locali, non ha certamente colto di sorpresa i cittadini di Acri e quanti, quotidianamente, conoscono e vivono le dinamiche imposte in questi anni dall’Amministrazione comunale.
L’epilogo della vicenda ci riporta ai fatti di cronaca giudiziaria di tre anni fa, quando divenne di dominio pubblico l’indagine per corruzione elettorale avviata dalla Procura di Paola nei confronti dell’allora consigliere regionale Giuseppe Aieta e, tra gli altri, del sindaco di Acri. Allora prevalsero senso di responsabilità e correttezza, anche da parte dei consiglieri comunali di opposizione i quali, tutti, invitarono a non alimentare, in attesa dell’esito delle indagini, dannose speculazioni politiche. Oggi, tuttavia, alla luce della sua evoluzione, questa brutta pagina di cronaca giudiziaria deve essere letta, abbandonando quella prudenza fino ad oggi prevalsa, anche in chiave politica se non altro – questo è quello che emerge leggendo i resoconto che trapelano dagli organi di informazione – per i gravi indizi di colpevolezza che si anniderebbero in capo all’indagato Pino Capalbo, che è sindaco in carica e che avrebbe utilizzato questo suo ruolo, affidatogli dai cittadini, per garantirsi la riconferma nella struttura del consigliere regionale Aieta. Ed è proprio la circostanza, certamente non neutra, che la richiesta di arresto sarebbe stata rigettata non per insussistenza o insufficienza degli indizi di colpevolezza, ma per altri motivi, che deve indurre noi consiglieri comunali ad assumerci le nostre responsabilità. Siamo, ritengo, ad un bivio: abdicare (vilmente!) al nostro ruolo politico-istituzionale, oppure, così onorando il mandato ricevuto dai cittadini, dare il nostro concreto contributo affinchè il Palazzo comunale si scrolli da dosso gli inevitabili sospetti di condotte illegali che in esso sarebbero state perpetrate per le ragioni che si stanno appalesando in maniera sempre più nitida. E non mi riferisco agli episodi di mala gestione, spesso familistica e despotica, aventi sicuramente rilevanza non solo politica, dei quali voglio richiamare per tutti i tanti, e sono generoso, disinvolti affidamenti diretti che nel corso della recente campagna elettorale amministrativa hanno formato oggetto di pubblica denuncia in più occasioni e da più pulpiti, ma al presunto speculare piegamento, all’epoca, dell’Istituzione comunale a interessi di natura elettorale. Il sindaco Pino Capalbo, per il quale vale più di chiunque altro il principio di innocenza fino ad eventuale condanna definitiva, sono certo saprà dimostrare la sua estraneità rispetto ai gravi reati di cui è accusato. Ritengo, tuttavia, che dovrà farlo, per ovvi motivi di opportunità politico-amministrativa oltre che per rispetto verso i suoi concittadini, ponendosi, fin quando la sua posizione sarà definitivamente chiarita, al di fuori dell’Istituzione comunale. Il Consiglio comunale, al quale – e mi piace ricordarlo oggi – il sindaco Pino Capalbo ha negato, allo scadere della scorsa consiliatura, la discussione sul delicato tema della “legalità”, non può e non deve rimanere estraneo a questo dibattito e dovrà farlo quanto prima. Dovrà, la massima Istituzione comunale, affrontare al suo interno, finalmente, il delicato tema della “sana” gestione amministrativa sottoscrivendo quel “Patto per la legalità” cui avevano aderito solo i candidati a sindaco Natale Zanfini e Angelo Cofone e, ove il sindaco non dovesse essere consequenziale, determinarsi nell’esclusivo interesse della città e dei cittadini i quali non possono che essere grati alla Magistratura inquirente per la tenacia e l’impegno profusi. |
PUBBLICATO 15/01/2023 | © Riproduzione Riservata

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