Lettera ad Acri


Angelo Bianco

Caro sig. sindaco Capalbo,
La bellezza di Acri, la bellezza di vivere in un piccolo paese, si rivela in tutta la sua essenza ed importanza, anche, quando, un suo paesano, improvvisamente, ha un “bisogno” e il paese c’è. Si chiama “senso di appartenenza” e non è solo più letteralmente “solidarietà”, perché questa afferisce alle coscienze personali, che non hanno una residenza: la solidarietà è apolide, vive nella cultura, nell’educazione, nella tradizione di ognuno di noi. È successo a mia madre, 85 anni, vive ad Acri da sempre, è qui che vuole morire, c’è mia sorella, che va la spola da casa sua, è il suo welfare. L’altra sera avuto un malore, non è ricoverata a ad Acri, l’Ospedale si racconta nel “c’era una volta”, è a Cosenza, è lontana dalle sue cose ma non è rimasta sola, gli acritani ci sono sempre, il loro è un racconto senza tempo. Le scrivo, sig. Sindaco, perché attraverso di lei, che è la massima istituzione di Acri, io voglio ringraziare tutti i miei paesani che si sono prodigati per aiutare mia madre, è il paese che ha risposto “presente”! È stato, ancora è, un passaparola che mi stringe il cuore e ha dato corpo ed anima ad una catena assistenziale meravigliosa che, ogni parola che è più di un “GRAZIE”, è solo una parola di più che non so trovare nel dizionario delle mia vita di figlio. L’emozione, però, non confonde la ragione. Le scrivo, sig. Sindaco, perché Lei è anche la massima istituzione a cui compete la gestione della sanità del nostro paese. L’assistenza ad una persona anziana dovrebbe essere garantita da un SSN che, invece, ha più di un anello mancante e una forza, purtroppo, sempre più evanescente. Le chiedo: Cosa ne è del nostro Ospedale? Quale progettualità è in essere? Io faccio il medico a La Spezia, non ho da enfatizzarne la supremazia assistenziale, le criticità sono dovunque, il disagio del paziente ha tutti i dialetti con cui può darne lamento ma il “mal comune mezzo gaudio” è un alibi che è buono per tutte le stagioni ipocrite che governano tutte le amministrazioni ma è anche la migliore della promessa da cui inizia la campagna elettorale di tutti i partiti, al grido “ma noi faremo di meglio” Le chiedo: Lei cosa ha fatto di meglio? Lei indossa la fascia tricolore per la sua seconda legislatura, ha argomenti per rispondere nel merito, le elezioni sono finite e se i cittadini di Acri lo hanno rieletto è perché hanno fiducia nelle sue capacità. I miei studi di Medicina e il mio lavoro mi hanno portato altrove ma io sono un Acritano, io non ho mai lasciato il mio paese, qui ci abita il mio cuore e qui ci sono le mie radici, io ho titolo MORALE per chiederle conto del suo mandato in tema di sanità, al netto, sia chiaro, di ogni dietrologia da bar “e mastrusantu” o del capanello “e supra l’uortu”! La storia di Acri è nei miei ricordi di bambino felice quando ad Acri c’era tutto ma volgarizzare la critica di quanto adesso non c’è più soltanto riportando indietro la memoria, significa ricadere in toto nella retorica del tempo che scorre, nel progresso, in una evoluzione che ci hanno insegnato come ineluttabile e che, oggi, viviamo nella sua più totale involuzione di risultato e di cui siamo tutti responsabili, perché non siamo stati capaci di governarne le criticità ma solo di criticarle. Caro sig. Sindaco, La bellezza di un paese è certamente nella bellezza del cuore dei suoi paesani ma nessuno di loro può supplire sempre le incrinature strutturali delle fondamenta su cui poggia la comunità di Acri: è la sanità, è la cultura, è la legalità e quelle strutture stanno perdendo troppi pezzi per dirsi ancora salde, tanto da non aver paura di un crollo e l’Ospedale somiglia già ad una maceria. A Lei l’onere e il dovere di una risposta, a noi il diritto di chiedere e l’onore di darLe merito e riconoscenza del suo impegno per Acri. |
PUBBLICATO 06/05/2023 | © Riproduzione Riservata

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