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La nuova pelle della ‘Ndrangheta

Foto © Acri In Rete
Anna Lambori
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In un paese calabrese un clan per ogni generazione mieteva vittime. I colpevoli la facevano franca perché le istituzioni erano corrotte. Le pupille di una donna d'onore erano tre figlie che attraverso maneggi oscuri erano riuscite ad essere titolate. Una di loro aveva impiegato quasi trent'anni a conseguire la "carta", non era riuscita a specializzarsi e i suoi anni universitari l'avevano vista entrare e uscire da cliniche psichiatriche. I servizi del paese d'origine non erano stati informati e lei al sud conduceva una nuova vita. Con astuzia la madre la faceva risultare dipendente part-time di una clinica privata di amici degli amici e la parte della parentela che sapeva era stata rabbonita da prebende. Purtroppo i medici, perché G. G. è un medico, non dovrebbero fare uso di sostanze per psicolabili ( infatti con molta fatica era riuscita ad ottenere la patente, ma non aveva mai guidato in vita sua). Ma questa persona aveva un paravento ovvero una parente che li aveva denunciati per diffamazione che essendo cresciuta con la nonna paterna non aveva contatti con la famiglia. Ma le denunce non servono quando c'è la 'ndrangheta e mentre G. G.era protetta, una docente universitaria era aggredita nei modi più biechi. Questa storia dimostra come la filosofia del Gattopardo non è presente solo in Sicilia, ma anche in Calabria dove si uccide per "distrarre" gli estranei, e dove la voce della "gente" costruisce mostri soltanto perché nelle famiglie ci si può procurare farmaci e veleni. Questa è una triste storia che vede una cittadinanza spettatrice e complice di un ennesimo delitto sotto gli occhi di tutti. Anna Lambori

PUBBLICATO 10/09/2023 | © Riproduzione Riservata





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