Acri e il Parco Nazionale che non si vuole


Francesco Foggia

L’idea di salvaguardare la natura e di rendere produttivo il proprio paesaggio è ancora poco diffusa nelle menti degli amministratori acresi. Non lo era nei programmi politici di 35 anni fa e, a quanto sembra, non lo è neppure in quello degli attuali amministratori di Acri.
Eppure, realtà montanare, piccole, marginali ma sane trovano di che vivere tramite il loro ambiente inviolato dalla tecnologia e dagli egoismi più sfacciati: sono le realtà i cui politici si danno da fare per programmare il futuro alle nuove generazioni! I numeri di dicembre 1989/gennaio 1990 del periodico “Confronto” di Giuseppe Abbruzzo (a. XV, n. 12 - a. XVI, n. 1) riportavano, a firma del sottoscritto, un’analisi ambientalistica della Valle del Mucone, la quale, per la contingente richiesta internazionale di natura, poteva considerarsi “L’industria verde acrese”. La prima parte è quella che si ripropone e che allora, come oggi, parla de “Il Parco che non c’è” … il Parco che non si vuole. << Il 2 aprile 1968, con la legge 503, veniva istituito il Parco Nazionale di Calabria ai “fini della conservazione delle caratteristiche ambientali e della educazione e ricreazione dei cittadini”, e dopo otto anni di ritardo, rispetto alle scadenze, il DM del 29.XII.1978 delimitava le aree individuate per ciascuna delle tre province. La sua estensione, ampliata dal Ministero dell’Agricoltura e delle Foreste, il 20.VI.1982 e l’8.VIII.1985, risulta complessivamente di 15.892 ettari, così ripartiti: la Sila Grande (Cava di Melis, Fossiata, Cecìta, ecc.) – CS – di 7.000 ha (44%); la Sila Piccola (Gariglione, ecc.) – CZ – di 5.687 ha (36%); l’Aspromonte – RC – di 3.205 ha (20%). (La rivista “Airone”, n. 98 del giugno 1989, riporta nell’allegata guida ai Parchi un’estensione maggiore, dedotta, forse, dalla monografia di M. Ciolli “Parco Nazionale della Calabria” edita dalla REDA nel 1977, prima della delimitazione ufficiale). Malgrado tutti convengano nel ritenere il territorio “tutelato” più redditizio economicamente di un altro mal sfruttato con insediamenti turistici, le condizioni in cui versa il nostro parco regionale sono ritenute “vergognose” dal WWF, mentre la stampa ambientalista, da alcuni anni, lo accusa di essere “fantasma” o “invisibile”: recentemente l’ISPES in un’analisi sulle zone protette e sulle politiche ed implicazioni sociali in materia, lo chiama “il parco che non c’è”. La constatazione più amara è che il Parco “non c’è” soprattutto nel nostro costume: quel fatalismo diffuso nella mentalità della gente comporta, anche, una forte riluttanza ad accettare “le novità”, a concepire altre acquisizioni culturali, a modificare usi ed abitudini. “Forse a conoscerlo poco sono gli stessi calabresi” afferma E. Pianelli (“Calabria”, n. 24, a. XV), ricercando l’origine delle cause nella disattenzione, nel disinteresse, ma anche nella scarsa concezione sulle enormi potenzialità. La Sila ha costituito sempre una viva sorpresa per chi vi ha viaggiato con l’animo sensibile a percepire la suggestione del paesaggio: Norman Douglas viene indotto a pensare “di essere in Scozia”; il supplemento al n. 90, ottobre1988, di “Airone” ne ribadisce l’unicità nell’Italia del Sud “nel dare immagini che ricordano così da vicino Canada e Scandinavia”; Fulco Pratesi, presidente del WWF Italia, non crede “che esistano in Italia altri territori boschivi che possano ambire di paragonarsi con quelli che costituiscono la Sila Greca, la Sila Gande e la Sila Piccola” (Corriere della Sera, 25.XI.1989), per cui, per la necessità sollecitata dall’UICN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura) di arrivare a proteggere per l’anno Duemila almeno il 10 per cento delle terre emerse del globo – a garanzia di un razionale, quanto improcrastinabile, equilibrio naturalistico – il Parco Nazionale di Calabria sarà, comunque, destinato ad ampliarsi nonostante sia secondo “Airone” (n. 98, pag. 33) “all’anno zero, senza un’identità precisa, un’immagine” anche con “gli immancabili progetti” della sua valorizzazione turistica. La sua superficie rappresenta l’1% del territorio calabrese ed anche con l’istituzione del Parco del Pollino (23.000 ettari nella provincia cosentina), proposto nel 1969 dal WWF Italia e tanto sostenuto dall’Amministrazione Comunale di Castrovillari, la percentuale regionale sarebbe del 2,6%, di poco inferiore all’attuale media italiana (3%).>> (Qui termina la I parte) Dalle voci e dai video che circolano in questo ottobre 2024 il territorio montano di Acri, con la presenza delle torri eoliche, avrà compromesso definitivamente la sua unicità ambientale, la sua attrattiva turistica, il suo valore paesaggistico, il suo ruolo ecologico. |
PUBBLICATO 22/10/2024 | © Riproduzione Riservata

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