Il sospiro di maggio


Manuel Francesco Arena

Tra i panni appesi ai balconi sotto un cielo azzurro, il vento carezzevole che soffiava dalla valle del fiume Mucone sembrava musicare mille corde di violino misteriose. Si era alzato di buon mattino, facendo vorticare le foglie morte ma alla fine si era placato, al punto di diventare proprio una semplice carezza.
Michele con i suoi cinquant’anni passati da un po’, non era più un ragazzino. Qualche sprazzo di capelli bianchi e piccole rughe solcavano ormai il viso come vascelli nell’oceano. Tuttavia giovane in lui era rimasta la voglia di vivere; quella era ostinata, dura ad arrendersi! Vestito d’abiti sportivi, passò dal solito bar di Piazza Annunziata e prese il solito caffè. Tutto sembra rimanere solito nelle piccole città e forse è meglio così in fondo, poiché questo vuol dire sì che le cose non migliorano, ma in compenso neppure peggiorano. Mediocrità la chiamerà qualcuno, ma per Michele questa era solo semplice tranquillità: praticamente il massimo che un uomo possa desiderare in un mondo dove tutto sembra poter andare allo sfacelo da un momento all’altro.
Oltre al caffè quel mattino comprò anche due cornetti caldi alla crema. Non gli facevano bene gli aveva consigliato il medico, ma lui ai cornetti proprio non riusciva a dir no. Dall’altra parte della piazza dove stava parcheggiata, raggiunse la sua gloriosa Panda 4x4. Era contento, libero da impegni quel giorno finalmente se ne sarebbe andato a passare qualche ora in quella sua oasi felice che era in montagna dove teneva una vecchia baita in legno con annesso terreno. Solo il pensiero di andarsene lassù, nel cuore verde dell’Altopiano, lo metteva di buon umore. Mentre guidava godendosi ogni curva della statale in saliscendi che fendeva i boschi e le praterie della Sila Greca, Michele ripensava al suo passato. Pensava alla gioventù, agli anni in cui era stato migrante ed aveva girato mezzo nord Italia. Come rondine alla fine, sarà stato per il richiamo delle radici o altro, ad un bel momento dopo tanto peregrinare era infatti tornato nella sua amata terra. Perché aveva fatto questo salto nel vuoto lasciando un buon lavoro, non sapeva spiegarselo. Tuttavia era contento della scelta fatta e gli stava bene anche quell’alone di mistero che essa celava. Certe cose a volte si fanno dopotutto senza che sia necessario per forza un perché: semplicemente e stop.
Senza accorgersene nel contempo era giunto a destinazione. L’umile baita gli sorrideva a distanza tra qualche pino gigante che si alternava ad alberi da frutto. La guardò come una reggia e si sentì un piccolo Re di un regno altrettanto minuto ed incantevole allo stesso tempo. Prima di aprire l’uscio posò i cornetti su un tavolino d’abete e decise di farsi una passeggiata lungo un sentiero che attraversava una miriade di ciliegi i quali anche ad alta quota, finalmente avano messo su dei fragili fiorellini dal profumo mieloso e candidi come la neve. Nel cielo invece chiassose ghiandaie miste a merli, passeri, cardellini ed addirittura una rara poiana davano vita ad un concerto senza spartiti o orchestra inseguendo una rotta conosciuta solo da loro: era il sospiro di maggio.
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PUBBLICATO 24/05/2025 | © Riproduzione Riservata

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