Tutti i colori della natura

Manuel Francesco Arena

Manca un quarto d’ora alle sette di questo tredici giugno, Sant’Antonio. Cinguettano gli uccellini, è già giorno pieno. In fondo a giugno, le giornate sono più lunghe: c’è più sole, più brio, più felicità. Inoltre nel nostro sud tornano in ferie amici e parenti e le nostre cittadine e paesi si riempiono allegramente di vita. Al contrario io, mentre “la macchinetta” del caffè borbotta sul gas, scambio qualche chiacchiera con mio zio Ettore. Le sue vacanze sono finite, il tempo di fare colazione e lui tornerà su in Germania. C’è sempre una certa malinconia nei saluti. Non tristezza, eh! Ma vera e propria malinconia. Ho indossato già la solita divisa da ciclista, sembra non far troppo caldo. Dopo uno yogurt con avena e marmellata di more casereccia che ho fatto lo scorso anno con dei frutti carnosi trovati nel nostro bosco della Crista, accendo un po' la tv. Sono solito mettere un po' sul canale di RDS e rilassarmi con della musica prima di andare in bici di solito. Purtroppo incappo proprio nel notiziario. Si parla di guerre, bombe, morti: sempre le solite disgrazie che l’uomo mette in atto per distruggere ed annientare la vita. D’altronde sono anni che risuonano echi di guerre, ma come diceva Papa Francesco, io proprio non riesco ad abituarmi ad essi e soffro pensando alla gente che le vive in prima persona. Parafrasando un altro gigante questa volta della nostra musica, parlo di Fabrizio De Andrè, ormai è diventato chiaro che per tutti il dolore degli altri è diventato dolore a metà. In questa nostra società la gente ha perso l’empatia, nonché il senso di mettersi nei panni altrui. Si fa finta di non vedere il nostro condomino che festeggia il Natale da solo, oppure il nostro vicino che fa i salti mortali per pagare la bolletta o per mantenere dignitosamente la famiglia, figurarsi se soffrono per i bambini, le donne e gli uomini che vivono quotidianamente le atrocità di guerre volute da spregiudicati potenti dall’altro capo del mondo. Che immenso vuoto! Alle sette e venti in punto tuttavia come prefissato sono sulla strada. Pedalo al fresco del mattino. La strada mi darà il solito conforto come sempre cullandomi fra le sue dolci curve. In una Acri mattutina inedita ed ancora tranquilla, mi aspettano i miei compagni di viaggio. Saliamo dalla consueta strada: Parco Caccia, Croce di Greca, Cava di Melis procedendo poi Camigliatello Silano. Lì optiamo per Monte Scuro. E’ bella e dolce la salita. I faggi, immensi e verdi, ci donano una frescura anche se la giornata è nei limiti del periodo, parlando di meteorologia. Le gambe van da sole, come cantava Nicola Di Bari in una sua vecchia canzone. Si sale ed è un’emozione per me che non mettevo le ruote su quella salita da ormai due anni. E’ bello sempre tornare nei luoghi dove sei stato felice dopotutto, ma credo che un posto dove non lo sono stato a memoria sull’Altopiano non esiste. Forse sono le mie montagne a mettermi di buon umore, forse Dio ha semplicemente voluto così o chissà. Chiacchierando e scalando gli ultimi dislivelli, tra gli alberi la strada si apre davanti a noi ed appare il Crocifisso e le insegne che indicano da una parte Botte Donato e dall’altra Cosenza. Ci fermiamo di fronte al Crocifisso sotto una frescura di faggi per consumare qualcosa che ci eravamo portati dietro. Laggiù si vede il lago Cecita nitidamente. E’ proprio bello il panorama visto da quassù. Penso che se ognuno vedesse il mondo con i colori e le sfumature che ci regala la natura, esso sarebbe un posto migliore. Del resto come ho scritto in una mia poesia tra le più apprezzate, sono convinto che il mondo un giorno lo erediteranno i semplici che faranno dell’armonia la loro bandiera. Che ci volete fare? Sono un sognatore che non si arrende davanti alla dimensione dei propri desideri. Lo so, forse è una colpa più che una virtù.
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PUBBLICATO 14/06/2025 | © Riproduzione Riservata

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