Trecento lire di Carità


Angelo Bianco

Da piccolo ho fatto il chierichetto, la mia era una famiglia credente, il prete era un modello di carità a cui tendere, si, io ci credevo tanto.
Un giorno, a Pasqua, ero ad accompagnare il don a benedire le case, tenevo l’incenso con una mano e con l’altra un’anforetta piccola, era per raccogliere la questua. Entrammo in una casa, nascosta in un vicolo del centro storico, era una stanza e pochissimo di più, una luce fioca ad illuminare l’essenziale, ne conservo ancora il ricordo per quanto fosse povera, poverissima. Ad abitarla c’era una vecchietta, invalida, ci accolse in preghiera, si fece il segno della croce, bació la mano al prete e lui, al termine della benedizione, mi fece darle in carità un paio di monete dall’anforetta, saranno state trecento lire, lei ha ringraziato ma io ho pensato “è tutta qui la carità?” Non faccio più il chierichetto, da grande sono entrato nel coro di chi “io prego a modo mio”, no, non ci credevo più così tanto. Quando c’è stata la fumata bianca, ero incollato alla tv, in preda ad un'ola d’attesa infinita, e al nome eletto ho pensato “chi?” e non è stata una smorfia felice, anzi, confesso, delusa, tifavo per un italiano, il cardinale Zuppi, ne avevo letto dell’impegno civico, mi era empatico. Lui mi ricorda don Raffaello, il mio prete per antonomasia, povero al servizio dei poveri, lui la carità l’ha praticata come si deve ma non ha fatto carriera, mistero della fede. Ammetto anche il mio preconcetto, così tara la somma del mio pensiero. La processione dei cardinali, la sceneggiatura hollywoodiana che ne accompagna il conclave, deprezza il valore cristiano del martirio di Gesù, lui è nato in una capanna, è stato crocifisso nudo e dissetato con aceto. Dubito che dei porporati si possa dire altrettanto, il loro menù, le loro case, il loro outfit evocano solo opulenza, altro mistero della fede. Io confidavo nell’eccezione bolognese, ad un piatto di tagliatelle non si può dire di no. Habemus comunque Papam! Ad oggi non mi è più chiaro dal “chi” del primo momento, non né ho traccia empatica. “A breve farò ritorno in Vaticano”, la vacanza a Castel Gandolfo è finita, ma Santità, mi scusi, lei è in vacanza da cosa? Dal mondo che brucia tra mille guerre? Dai bambini sterminati senza pietà mentre sono in fila per un pezzo di pane? Dall’intolleranza razzista assunta a governo del pensiero? Dalla storia presa a calci in culo? Dal calcolo politico indifferente all’odore acre del sangue? Il primo atto di don Raffaello papa e, forse, anche di Matteo sarebbe stato trasferire la diocesi di Pietro a Gaza, a sfidare la follia genocida di Nethaneyau, e poi in Ucraina e ovunque un bambino piange alla paura del rumore di una bomba mentre Papa, mica tanto Leone, si è affacciato dalla finestra per dire “cattivoni, basta, finitela!”: è tutta qui la carità? C’è voluta un’ultima bomba che “involontariamente” è caduta su una chiesa cristiana e ferito ad una gamba un prete, che forse ha un colore diverso dal rosso innocente dei civili, per convincere, finalmente, qualcuno, a chiudere la finestra, aprire gli occhi e scendere per strada ma per fare poi cosa di più, altrimenti, la mia domanda rimane sempre la stessa: la carità è tutta qui? La mia è delusione, indignazione, è rabbia, sono una vergine, sono concreto, esigente, la mia non è blasfemia. È da quando ho smesso di fare il chierichetto che io mi aspetto molto di più di trecento lire da chi predica carità, soprattutto da da un Leone, altrimenti, non ci crederò più, come per l’astrologia, a questa, però, non c’ho mai creduto. |
PUBBLICATO 21/07/2025 | © Riproduzione Riservata

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