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Acri, tra speranze stanche e promesse vuote: i giovani tra fuga e clientelismo

Foto © Acri In Rete
Angelo Francesco Scaglione
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Una città che parla poco, ma urla nel silenzio. Acri, distesa sulle alture della Sila, è una città che vive sospesa. Le strade sono calme, forse troppo; le piazze si svuotano presto e i bar abbassano le saracinesche quando il sole non è ancora tramontato del tutto. È in questi spazi silenziosi che si consuma una delle crisi più profonde: quella dei giovani, costretti a crescere senza luoghi, senza prospettive, senza orizzonti. Qui la mancanza non è solo materiale. È esistenziale. È la sete di futuro che rimane in gola, il senso di isolamento che si respira anche in mezzo alla gente. Una generazione che avrebbe energia da donare, ma che non trova né ascolto né terreno fertile. Il vuoto che pesa: Dopo la scuola, Corso Sandro Pertini — “Sopra l’Orto”, come lo chiamano tutti — si svuota come un teatro dopo l’ultima replica. Non esiste un cinema, non un teatro, non una sala prove, né uno spazio culturale dove incontrarsi, crescere, sperimentare. I ragazzi lo dicono con amara semplicità: “Dopo le lezioni, cosa possiamo fare?” La risposta è sempre la stessa: “Nulla.” Così i telefonini diventano l’unico punto di ritrovo, purché ci sia una connessione che funzioni. La sera scorre lenta, uguale, insonnolita. Una routine che non costruisce, non stimola, non trattiene. Lavoro che non c’è, speranze ignorate. Trovare un impiego ad Acri è un’impresa che quasi nessuno riesce a compiere. Anche chi studia, si forma, ritorna con idee e competenze, finisce per rifare la valigia. La fuga è diventata la regola, non l’eccezione. Una città senza giovani è una città che lentamente si spegne. Tra clientelismo e litigi politici: la vera occupazione locale. Il disagio non è solo economico. È culturale, politico, strutturale. Nel dibattito pubblico locale, troppo spesso le discussioni sembrano concentrarsi più sulle dinamiche interne, sulle deleghe, sulle poltrone, sulle fratture di palazzo, che sulle necessità reali della popolazione. Il risultato? Risorse distribuite a pioggia senza visione, occasioni perse, fondi che arrivano ma non sempre generano opportunità. Il clientelismo, antico sport calabrese, continua a sottrarre ossigeno proprio a chi dovrebbe rappresentare il futuro. Le politiche giovanili, in molti territori della regione, restano un capitolo marginale — quando ci sono. E Acri, purtroppo, segue questo copione: pochi progetti strutturati, poca continuità, poca fiducia nei giovani come motore di sviluppo. Una città che non ascolta, ma dovrebbe farlo subito. Il silenzio dei ragazzi non è rassegnazione. È stanchezza. È la delusione di chi vorrebbe partecipare ma non trova porte aperte. È la frustrazione di chi vede i propri anni migliori scorrere tra panchine vuote e speranze spente. Per questo la domanda diventa inevitabile: Quanti giovani dobbiamo ancora perdere prima che qualcuno riconosca davvero il problema? Non si chiede compassione. Si chiede rispetto. Opportunità. Dignità. Un appello alla città: cambiare è possibile. Acri può rinascere, ma solo se smette di guardarsi allo specchio e ricomincia a guardare avanti. Servono: • luoghi di aggregazione reali, non simbolici: sale studio, centri culturali, palestre accessibili, spazi per la creatività; • lavoro vero, non misure temporanee o illusioni in forma di tirocini; • una visione politica concreta, che investa sui giovani come risorsa e non come bacino di consenso. Non è più tempo di promesse. È tempo di scelte. Perché noi giovani di Acri non vogliamo essere spettatori del nostro futuro. Vogliamo esserne protagonisti con un programma ed un progetto vincente che rimetta al centro della discussione la nostra comunità ed il nostro territorio. Angelo Francesco Scaglione

PUBBLICATO 17/11/2025 | © Riproduzione Riservata





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