Opinione Letto 1652  |    Stampa articolo

L'onestà intellettuale.

Fabio Zanfino
Foto © Acri In Rete
Mi permetto di introdurre una citazione che ci faccia riflettere su quella che, come definita dallo stesso autore, non è altro che "l'analisi di una tragedia necessaria."
Questa non vuole essere, almeno nel mio intento, motivo di discussione o di polemica ma solo una fonte alla quale attingere, per evitare che un giorno, ci si risvegli scoprendosi un po' troppo lontani da dove in origine avremmo voluto essere.
Mi scuso in anticipo con chi, data la lunghezza della citazione, non avrà la pazienza di leggerla ma non avrei potuto cercare di riassumerla senza risultare "intellettualmente disonesto".
La fonte, da cui è tratto il saggio, è il libro "City" di Alessandro Baricco.


SAGGIO SULL'ONESTÀ INTELLETTUALE
Il saggio è composto da sei tesi, la prima delle quali recita così:

I. Gli uomini hanno idee.

Le idee sono come galassie di piccole intuizioni, sono una cosa confusa, che si modifica in continuazione ed è sostanzialmente inutilizzabile a fini pratici. Sono belle, ecco tutto, sono belle. Ma sono un casino. Le idee, se sono allo stato puro, sono un meraviglioso casino. Sono apparizioni provvisorie di infinito. Le idee "chiare e distinte", sono un'invenzione di Cartesio, sono una truffa, non esistono idee chiare, le idee sono oscure per definizione, se hai un'idea chiara, quella non è un'idea.
- E cos'è, allora?
- Tesi numero 2, ragazzi.

La tesi numero 2 recitava così:

II. Gli uomini esprimono idee.
Questo è il guaio. Quando esprimi un'idea le dai un ordine che essa in origine non possiede.
In qualche modo le devi dare una forma coerente, e sintetica, e comprensibile dagli altri. Finche ti limiti a pensarla, essa può rimanere il meraviglioso casino che è. Ma quando decidi di esprimerla inizi a scartare qualcosa, a riassumere un'altra parte, a semplificare questo e tagliare quello, a ordinare il tutto dandogli una certa logica: ci lavori un po', e alla fine hai qualcosa che la gente può capire. Un'idea "chiara e distinta". All'inizio cerchi di fare le cose per bene: cerchi di non buttare via troppa roba, vorresti salvare tutto l'infinito dell'idea che avevi in testa. Ci provi. Ma quelli non ti lasciano il tempo, ti stanno addosso, vogliono capire, ti aggrediscono.
- Quelli chi?
- Gli altri, tutti gli altri.
- Ad esempio?
- La gente. La gente. Tu esprimi un'idea e c'è della gente che l'ascolta. E vuole capire. O peggio ancora vuole sapere se è giusta o sbagliata. È una perversione.
- Cosa dovrebbe fare? Bersela e basta?
- Non so cosa dovrebbe fare, ma so quello che fa, e per te, che avevi un'idea, e adesso sei li che cerchi di esprimerla è come essere aggredito. Con una velocità impressionante pensi solamente a renderla più compatta e forte possibile, per resistere all'aggressione, perché ne esca viva, e usi tutta la tua intelligenza per farne una macchina inattaccabile, e più ti riesce meno ti accorgi che quello che stai facendo, quello che realmente stai facendo in quel momento, è perdere contatto a poco a poco, ma con velocità impressionante, dall'origine della tua idea, dal meraviglioso istintivo casino infinito che era la tua idea, e questo per il solo misero scopo di esprimerla e cioè di fissarla in un modo abbastanza forte e coerente e raffinato da resistere all'onda d'urto del mondo intorno, alle obiezioni della gente, alla faccia ottusa di quelli che non hanno capito bene, alla telefonata del tuo capo dipartimento ecc…
Le idee una volta espresse non sono più idee. Sono detriti di idee organizzati magistralmente fino a diventare oggetti solidissimi, meccanismi perfetti, macchine da guerra. Sono idee artificiali. Hanno giusto una lontana parentela con quel meraviglioso e infinito casino da cui tutto era iniziato, ma è una parentela quasi impercettibile, come un lontano profumo. In realtà è tutta plastica, roba artificiale, nessun rapporto con la verità, solo marchingegni per fare bella figura in pubblico.
Il che, introduce necessariamente alla tesi n. 3.

Che recita così:

III. Gli uomini esprimono idee che non sono loro.

- Vuole scherzare?
- Sono serissimo.
- Come fanno a esprimere idee che non sono loro?
- Diciamo che non sono più loro. Lo erano. Ma molto rapidamente gli scappano di mano e diventano creature artificiali che si sviluppano in modo quasi autonomo, e hanno un solo obbiettivo: sopravvivere. L'uomo presta loro la sua intelligenza ed esse la usano per diventare sempre più solide e precise. In un certo senso, l'intelligenza umana lavora costantemente per dissipare il meraviglioso infinito caos delle idee originarie e sostituirlo con l'inossidabile compiutezza di idee artificiali. Erano apparizioni: adesso sono oggetti che l'uomo impugna, e conosce alla perfezione, ma non saprebbe dire da dove vengono e in definitiva che diavolo di rapporto abbiano ormai con la verità.
In un certo senso non gliene frega nemmeno più tanto. Funzionano, resistono alle aggressioni, riescono a scardinare le debolezze altrui, non si rompono quasi mai: perché farsi tante domande? L'uomo le guarda, scopre il piacere di impugnarle, di usarle, di vederle in azione. Prima o poi, è inevitabile, impara che le si può usare per combattere. Non ci aveva mai pensato, prima. Erano apparizioni: aveva giusto pensato di farle vedere agli altri, tutto lì. Ma col tempo: più niente di quel desiderio originario si salva. Erano apparizioni: l'uomo ne ha fatto delle armi.
D'altronde basta osservare cosa succede nella testa di un uomo quando esprime un'idea e qualcuno, di fronte a lui, solleva un'obiezione. Credi che quell'uomo abbia il tempo, o 1'onestà, di tornare all'apparizione che un giorno fu l'origine di quella idea e controllare, laggiù, se per caso l'obiezione non sia sensata? Non lo farà mai. E molto più veloce affinare l'idea artificiale che si è trovato tra le mani in modo che possa resistere all'obiezione e magari trovare il modo di passare all'attacco e aggredire, a sua volta, l'obiezione. Cosa c'entra il rispetto della verità in tutto questo? Niente. È un duello. Stanno stabilendo chi è il più forte. Non vogliono usare altre armi, perché non le sanno usare, usano le idee. Sembra che l'obbiettivo di tutto quello sia chiarire la verità, ma in realtà quello che entrambi vogliono è stabilire chi è il più forte. È un duello. Sembrano brillanti intellettuali, ma sono animali che difendono il territorio, si contendono una femmina, si procurano il cibo. Stammi a sentire, non troverai mai niente di più selvaggio e primitivo di due intellettuali che duellano. E niente di più disonesto.

IV. Le idee, una volta espresse e dunque sottoposte alla pressione di un pubblico, diventano oggetti artificiali privi di un reale rapporto con la loro origine. Gli uomini le affinano con tale ingegno da renderle micidiali. Col tempo scoprono di poterle usare come armi. Non ci pensano su un attimo. E sparano.
Sulla carta è talmente bello, e unico e irripetibile il rapporto con la verità, e quella magia delle idee, magnifiche apparizioni di confuso infinito nella tua mente... Come è possibile che tutti scelgano di rinunciare a tutto questo, di rinnegarlo, e accettino di armeggiare con piccole insignificanti idee artificiali - piccole meraviglie di ingegneria intellettuale, per carità ma alla fine gingilli, miseri gingilli, capolavori di retorica e acrobazie logiche, ma gingilli, alla fine, macchinette, e tutto questo solo per il gusto irrefrenabile di combattere?
Non riuscivo a crederci, pensavo che ci fosse qualcosa sotto, qualcosa che mi sfuggiva, e invece, alla fine, ho dovuto ammettere che era tutto molto semplice, e inevitabile, e perfino comprensibile, se solo si vinceva la ripugnanza e si andava a vedere da vicino la faccenda, proprio da vicino, anche se ti fa schifo, prova a vederla da vicino. Prendi uno che ci campa, con le idee, un professionista, che ne so, uno studioso, uno studioso di qualcosa, okay? Avrà iniziato per passione, sicuramente ha iniziato perché aveva del talento, era uno di quelli che hanno apparizioni di infinito, possiamo immaginare che le aveva avute da giovane, e che ne era rimasto fulminato. Avrà provato a scriverle, prima magari ne avrà parlato con qualcuno, poi un giorno avrà pensato che era in grado di scriverle, e si sarà messo lì, con tutta la buona volontà, e le avrà scritte, ben sapendo che sarebbe riuscito solo ad appuntare una minima parte di quell'infinito che aveva in testa, ma pensando che poi avrebbe avuto tempo di approfondire il discorso, che so, di spiegarsi meglio, di raccontare poi tutto per bene. Scrive e la gente legge. Persone che lui nemmeno conosceva iniziano a cercarlo per saperne di più, altri lo invitano a convegni in cui poterlo attaccare, lui si difende, sviluppa, corregge, aggredisce a sua volta, inizia a riconoscere un piccolo popolo intorno a lui che sta dalla sua parte e un fronte di nemici davanti a se che lo vuole distruggere: inizia a esistere.
Non ha tempo di accorgersene ma tutto quello finisce per appassionarlo, gli piace la lotta, scopre cosa significa entrare in un'aula sotto lo sguardo adorante di un po' di studenti, vede il rispetto negli occhi della gente normale, si sorprende a desiderare l'odio di qualche personaggio famoso, finisce per andarselo a cercare, lo ottiene, magari tre righe in una nota di un libro su tutt'altro, ma tre righe che trasudano livore, lui ha la furbizia di citarle in un'intervista per qualche rivista di settore, e qualche settimana dopo, su un giornale, si trova ormai etichettato come l'avversario del famoso professore, c'è anche una foto, su quel giornale, una sua foto, lui vede una sua foto su un giornale, e la vedono anche molti altri, è una cosa graduale ma ogni giorno che passa lui e la sua idea artificiale diventano un tutt'uno che si fa largo nel mondo, l'idea è come il carburante, lui è il motore, si fanno strada insieme, ed è una cosa che lui neanche si immaginava, questo devi capirlo bene, lui non si aspettava che succedesse tutto quello, non lo voleva neanche, ad essere precisi, ma adesso è accaduto, e lui esiste nella sua idea artificiale, idea sempre più lontana dalla originaria apparizione di infinito perché mille volte nel frattempo revisionata per poter reggere alle aggressioni, ma idea artificiale solida e permanente, collaudata, senza la quale lo studioso cesserebbe all'istante di esistere e sarebbe inghiottito, di nuovo, dalla palude di un'esistenza ordinaria. Detta così, sembra una cosa neanche troppo grave - "essere inghiottiti di nuovo dalla palude di un' esistenza ordinaria" - ed io per anni non sono riuscito a capirne la gravità, ma il segreto è avvicinarsi ancora, guardare da vicino. Turati il naso e vieni a vedere da vicino, lo studioso, lui, sicuramente aveva un padre, guardalo più da vicino, un padre severo, stupidamente severo, intento per anni a piegare il figlio facendogli pesare la sua continua e sfrontata inadeguatezza, e questo fino al giorno in cui vede il nome di suo figlio su un giornale, stampato su un giornale, non importa perché, sta di fatto che gli amici iniziano a dirgli Complimenti, ho visto tuo figlio sul giornale, fa schifo, vero? , ma lui ne è impressionato, e il figlio trova ciò che non aveva mai avuto la forza di trovare, cioè una tardiva vendetta, ed è una cosa enorme, questa, poter guardare tuo padre dritto negli occhi, non c'è prezzo per un riscatto come questo, cosa vuoi che sia armeggiare un po' con le tue idee, dimentico ormai di qualsiasi reale nesso con la loro origine, davanti al fatto di poter essere figlio di tuo padre, finalmente, figlio regolarmente autorizzato e approvato? Non c'è prezzo troppo alto per il rispetto di tuo padre, credimi, e neppure a ben pensarci per la libertà che il nostro studioso trova nei primi soldi, soldi veri, che una cattedra strappata a una università periferica inizia a fargli cadere nelle tasche, sottraendolo al quotidiano dettato dell'indigenza, e indirizzandolo sul piano inclinato di piccoli lussi che infine, alla fine, finalmente convergono nella agognata casa in collina con studio e libreria, un'inezia, in teoria, ma un'enormità, invero, quando assurge, nel reportage del giornalista di turno, a covo defilato dello studioso che in essa trova ricovero dalla scintillante vita che lo assedia, vita invero più che altro immaginaria, ma lì, nella realtà del ricovero, improvvisamente dimostrata, e dunque vera, e dunque stampata per sempre nella mente del pubblico, che da quell'istante avrà per lo studioso uno sguardo di cui lui non potrà più fare a meno, perché è uno sguardo che rinunciando a qualsiasi verifica regala, a priori, rispetto e considerazione e impunità. Ne puoi fare a meno quando non lo conosci. Ma dopo? Quando l'hai visto negli occhi del vicino d'ombrellone, e di quello che ti vende la macchina, e dell'editore che mai avresti pensato nemmeno di conoscere, e dell'attrice di sceneggiati televisivi e - una volta, in montagna - del Ministro, lui in persona? Fa vomitare, vero? Meglio, significa che siamo vicini al cuore delle cose. Senza pietà. Non è il momento di arrendersi. Si può andare ancora più vicino. La moglie.
La moglie dello studioso, sua compagna di condominio, all'età di dodici anni, amata da sempre, sposata poi per automatismo e legittima difesa dalle incurie del destino, moglie sbiadita, simpatica, mai passionale, una buona moglie, adesso moglie di un professore affermato e della sua micidiale idea artificiale, moglie felice in fondo, guardala bene. Quando si sveglia. Quando esce dal bagno. Guardala. La vestaglia, tutto. Guardala. E poi guarda lui, lo studioso, non molto alto, sorriso triste, forfora a scaglie, non che ci sia niente di male, ma ce l'ha, belle mani, quelle sì, mani affusolate e pallide che immancabilmente appaiono accoppiate al mento nelle foto d'ordinanza, mani belle, il resto impietoso, bisogna che fai uno sforzo e cerchi di vederlo nudo, uno così, è importante che tu lo veda nudo, credimi, bianchiccio e molle, con muscoli evanescenti e in mezzo all'inguine miti pretese, quali chances può avere un animale maschio di quel tipo nella quotidiana lotta per l'accoppiamento, chances scarsissime, modeste, non c'è santo, e così sarebbe, in effetti, se non fosse che l'idea artificiale ha trasformato l'animale destinato a soccombere in un lottatore e, alla lunga, perfino in un capo branco, con tanto di cartella di cuoio e passo conformatosi a estetizzante simulata zoppia, che ora se guardi bene scende la gradinata dell'università e viene avvicinato da una studentessa che un po' timidamente si presenta e parlando rotola insieme a lui fino alla strada e poi giù per il piano inclinato di un'amicizia sempre più appiccicosa, da far schifo solo a pensarci, ma così utile da guardare, fino in fondo, per quanto rivoltante possa essere, utile da studiare, imparandola fino all'apoteosi finale quando nel monolocale di lei, una stanza affittata con un grande letto e coperta peruviana, lui ottiene di salire, con la sua cartella e la sua forfora a scaglie, con la scusa di correggere una bibliografia, e in ore di estenuante occultato corteggiamento sfalda la tardiva resistenza della ragazza con le tenaglie e il bisturi della sua idea artificiale, e in virtù di una rubrichetta che da alcune settimane tiene su un settimanale trova il coraggio, e in certo modo il diritto, di appoggiare una mano, una delle sue bellissime mani, sulla pelle di quella ragazza, una pelle che nessun destino gli avrebbe mai consegnato, ma che la sua idea artificiale ora gli regala, insieme a quella camicetta che si apre, alla lingua che irragionevolmente socchiude le sue labbra sottili grigiastre, al respiro femmina affannoso nelle orecchie, e all'abbacinante scorcio di una mano giovane, abbronzata e bella, stretta intorno al suo sesso, incredibile. Pensi che ci sia un prezzo, per tutto questo? Non c'è.
Pensi che sarebbe mai capace quell'uomo di rinunciare a tutto questo solo per il puntiglio di essere onesto, di rispettare l'infinito delle sue idee, di tornare a domandarsi cosa sia vero e cosa no? Pensi che accadrà mai più a quell'uomo di chiedersi, anche in segreto, anche in solitudine assoluta e impenetrabile, se la sua idea artificiale ha ancora qualcosa a che vedere con la verità, con la sua origine? Pensi che sarebbe mai capace di un solo istante, anche segreto, di onestà? No.

V. Gli uomini usano le idee come armi, e in questo gesto se ne allontanano per sempre.

È così lontano, ormai, da lui, il punto da cui era partito, ed è da così tanto tempo che lui non abita più le sue idee, onestamente, con semplicità e in pace. Non è un'onestà che puoi ricostruire dopo che, l'averla tradita ti ha regalato un'esistenza, un'intera esistenza, a te che potevi anche non esistere, per anni, fino a schiattare. Non la restituisci, una vita intera, dopo averla rapinata al destino, solo perché un giorno, guardandoti allo specchio, ti fai schifo. Morirà disonesto, ma almeno morirà di una qualche vita, il nostro professore.
Ci ho pensato, ci ho pensato a lungo e con tutta la durezza di cui sono stato capace, ma alla fine ho capito che per quanto osceno sia il modo con cui gli uomini abbandonano la verità dedicandosi alla maniacale cura di idee artificiali con cui sbranarsi a vicenda, per quanto mi faccia schifo ormai qualsiasi cosa che puzza di idee, e per quanto io non riesca obbiettivamente a non vomitare di fronte alla quotidiana esibizione di questa lotta primitiva travestita da onesta ricerca della verità - per quanto sconfinato sia il mio disgusto io devo dire: è giusto così, è schifosamente giusto così, è semplicemente umano, è quello che deve essere, è la merda che ci spetta, l'unica merda di cui siamo all'altezza. L'ho capito guardando i migliori. Da vicino, bisogna avere il coraggio di guardarli da vicino. Li ho visti: erano disgustosi e giusti, lo capisci cosa voglio dire? , disgustosi ma inesorabilmente innocenti, volevano solo esistere, puoi togliergli questo diritto? , volevano esistere.
Prendi quelli degli alti ideali, quelli con le idee nobili, quelli che delle loro idee hanno fatto una missione, quelli al di sopra di ogni sospetto. Un prete. Prendi il prete. Non quello qualunque. L'altro, quello che sta dalla parte dei poveri, o dei deboli, o degli esclusi, quello con il maglione e le Reebok, quello li, avrà iniziato con una qualche accecante apparizione caotica di infinito, qualcosa che nella penombra della sua giovinezza gli avrà dettato vagamente l'imperativo di prendere posizione, e il suggerimento della parte in cui stare, tutto sarà iniziato come deve iniziare, in un modo onesto, ma poi, santo Iddio, quando te lo ritrovi adulto e famoso, Cristo, famoso, fa senso già a dirlo, famoso, con il nome sui giornali e le foto, con il telefono che squilla in continuazione perché i giornalisti gli devono chiedere la sua, su questo e quello, e lui risponde, porca troia, risponde, e partecipa, e sfila in testa ai cortei, il telefono dei preti non squilla, voglio dirtelo con tutta la crudeltà necessaria, tu non lo puoi sapere ma il telefono dei preti non squilla perché la loro vita è un deserto, è programmaticamente un deserto, una specie di parco naturale protetto, dove la gente può guardare ma da lontano, loro sono animali da parco naturale, nessuno li può toccare, puoi immaginare questo? per i preti è un problema anche solo farsi toccare, l'hai mai visto un prete che bacia un ragazzino o una signora, solo per salutarli, mica per altro, una cosa da nulla, normale, ma lui non lo può fare, la gente intorno immediatamente avrebbe come un senso di disagio e di imminente violenza, e questa è la quotidiana durissima condizione del prete in questo mondo, lui che pure sarebbe un uomo come gli altri, e invece si è scelto quella solitudine vertiginosa, che non avrebbe via d'uscita, nulla, se non fosse che un'idea, un'idea perfino giusta, cade da fuori a mutare quel panorama, a restituirgli un tepore di umanità, un'idea che, usata per bene, raffinata, revisionata, tenuta al riparo da rischiosi confronti con la verità, conduce il prete fuori dalla sua solitudine, semplicemente, e poco a poco fa di lui quell'uomo che è adesso, circondato di ammirazione, e voglia di avvicinarsi, e perfino desiderio allo stato puro, un uomo con il maglione e le Reebok, mai solo, si muove imbacuccato di figli e fratelli, mai disperso perché costantemente collegato a qualche terminale dei media, ogni tanto tra la folla acchiappa al volo gli occhi di una donna carichi di desiderio, pensa cosa può significare questo per lui, quella vertiginosa solitudine e questa vita esplosa, c'è da stupirsi se è disposto a morire per la sua idea? , lui esiste in quell'idea, cosa significa morire per quell'idea? , lui sarebbe comunque morto se gliela togliessero, lui si salva in quell'idea, e il fatto che in essa salvi centinaia e magari migliaia di suoi simili non cambia di una virgola la faccenda, e cioè che lui salva innanzitutto se stesso, con l'alibi accessorio di salvare gli altri, rapinando al suo destino quella necessaria dose di riconoscimento e ammirazione e desiderio che lo rende vivo, "vivo", capisci bene questa parola, vivo, vogliono solo essere vivi, anche i migliori, quelli che costruiscono giustizia, progresso, libertà, futuro, anche per loro è tutta una faccenda di sopravvivenza, vagli più vicino che puoi, se
non ci credi, guarda come si muovono, chi hanno intorno, guardali e prova a immaginare cosa sarebbe di loro se per caso un giorno si svegliassero e cambiassero idea, semplicemente, cosa rimarrebbe di loro, prova a estorcergli una risposta una che non sia una istintiva autolegittimazione, vedi se riesci anche una sola volta a sentirli pronunciare la loro idea con lo stupore e l'esitazione di uno che la scopre in quel momento e non con la sicurezza di uno che ti sta mostrando orgoglioso la devastante efficacia dell'arma che impugna, non farti fregare dall'apparente mitezza del tono, dalle parole che scelgono, astutamente miti, stanno lottando, lottano con i denti per la sopravvivenza, per il cibo, la femmina, la tana, sono animali, e sono i migliori, capisci? , cosa puoi aspettarti di diverso dagli altri, dai piccoli mercenari dell'intelligenza, dalle comparse della grande lotta collettiva, dai piccoli guerrieri vili che sgraffignano detriti di vita ai margini del grande campo di battaglia, commoventi spazzini di salvezze irrisorie, ognuno con la sua ideina artificiale, il primario a caccia di finanziamenti per pagare il college del figlio, il vecchio critico a lenire l'abbandono della sua vecchiaia con quaranta righe a settimana scagliate dove facciano un po' rumore, lo scienziato e il suo purè di Vancouver con cui cibare di orgoglio moglie, figli, amanti, le penose comparsate in televisione dello scrittore che ha paura di scomparire tra un libro e l'altro, il giornalista che pugnala a casaccio in prima pagina per essere sicuro di esistere almeno per 24 ore ancora, stanno solo lottando, lo capisci? , lo fanno con le idee perché non sanno usare altro, ma la sostanza non cambia, è lotta, e sono armi le loro idee, e per quanto faccia schifo ammetterlo, è nel loro diritto, la loro disonestà è una logica deduzione da un bisogno primario, e dunque necessario, il loro schifoso quotidiano tradimento della verità è la naturale conseguenza di uno stato naturale di indigenza che va accettato, non si chiede a un cieco di andare al cinema, non si può chiedere a un intellettuale di essere onesto, non credo, veramente che glielo si possa chiedere, per quanto sia deprimente ammetterlo, ma il concetto stesso di onestà intellettuale è un ossimoro.

VI. L'onestà intellettuale è un ossimoro.
L'onestà intellettuale è un ossimoro, o comunque un compito altamente proibitivo e forse disumano, tanto che nessuno, in pratica, si sogna nemmeno di assolverlo, accontentandosi, nei casi più ammirevoli, di fare le cose con un certo stile, una certa dignità, diciamo con buon gusto, ecco, il termine esatto sarebbe con buon gusto, alla fine ti viene da salvare quelli che riescono quanto meno a fare le cose con buon gusto, con un certo pudore, quelli che almeno non sembrano fieri della merda che sono, non così fieri, non così maledettamente fieri, non così impunemente, strafottentemente fieri.

Sotto quest'ultima tesi c'era una nota, scritta con un'altra biro, e in corsivo.
Non aveva un numero, prima, niente. Diceva così:
Un'altra vita, saremo onesti. Saremo capaci di tacere.


PUBBLICATO 22/8/2005

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