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Ventidue anni per un ricorso.

Piero Cirino
Foto © Acri In Rete
Ventidue anni per discutere un ricorso. Nell'era e nel Paese delle lungaggini burocratiche accade anche questo. Nell'Italia delle lettere recapitate a distanza di decenni, delle cartelle più o meno pazze e di una ricca pubblicistica di assurdi burocratici, può anche accadere che un contribuente, che aveva ormai riposto nel cassetto dei ricordi la vicenda, si veda recapitare dalla commissione tributaria di Cosenza la comunicazione secondo la quale il suo ricorso, datato 14 novembre 1986, sarà discusso il prossimo 13 novembre.
Si tratta di una cartella riferita al pagamento dell'Irpef del 1982. Nello specifico, la contestazione verterebbe sulla detrazione del coniuge a carico. In sostanza, si tratta di una questione documentale, che, almeno teoricamente, non dovrebbe implicare un istruttoria tale da giustificare un considerevole dilatamento dei tempi. L'importo, da pagare e contestato, era di poco superiore alle 400 mila lire. Insomma, verrebbe da riderci su, se non ci fosse la possibilità di serie conseguenze.
Al danno, infatti, potrebbe aggiungersi la beffa: qualora il ricorso dovesse essere respinto, il malcapitato contribuente dovrebbe accollarsi anche gli interessi maturati in ventidue anni, cioè nel tempo impiegato a fissare una data utile per trattare un ricorso del 1986. E dire che c'è un'apposita legge, la numero 89 del 2001, comunemente nota come “Legge Pinto”, sulla durata ragionevole del processo ed equa riparazione. Si tratta di una iniziativa figlia di un diritto sancito dall'articolo 6 della “Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali”, firmata a Roma il 4 novembre 1950, secondo il quale «ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un tribunale indipendente e imparziale, costituito per legge...».
Come conciliare questa normativa con un'attesa di ventidue anni è arduo dire. Lo sottolinea con tono sconsolato l'avvocato incaricato di seguire la vicenda dal suo cliente, Pierfrancesco Molinari, che la questione l'ha ereditata, nel senso che l'ha presa in mano solo di recente e non dal 1986, e per il quale «una giustizia che impiega ventidue anni a trattare un ricorso in commissione tributaria, al di là del merito e dell'esito, non è una giustizia giusta».


Fonte: "Il Quotidiano della Calabria" del 16-10-2008.

PUBBLICATO 17/10/2008

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