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Stanno uccidendo i sogni

Leonardo Marra
Foto © Acri In Rete
I had a dream.
Avevo un sogno. La mia generazione aveva un sogno: vivere in un Mondo senza sperequazioni. Un Mondo nel quale l’esistenza di criteri economici e politici scevri da desideri di onnipotenza, determinasse una equa distribuzione delle risorse e dei beni essenziali. Un Mondo nel quale “ricchezza” e “povertà” fossero relegate a semplici accezioni del dizionario, nel quale “governare” perdesse ogni riferimento al “potere” in quanto tale, ed assurgesse ad un più alto significato, morale e politico, di conduzione ed amministrazione di uno Stato, bandendo da questa ogni riferimento ad interessi personalistici o settari.
Un Mondo nel quale vivere potendosi riconoscere come parte dell’Umanità senza doversene vergognare; dove la consapevolezza di essere produttore di ricchezza fosse confortata dalla certezza di essere attore comprimario in uno spettacolo senza comparse, un Mondo nel quale la “produzione” non rappresentasse motivo di tensione sociale, ma fosse frutto di partecipazione collettiva alle scelte delle aziende.
Un Mondo nel quale il 100% della popolazione potesse accedere alle risorse del pianeta gestendole con coscienza e lungimiranza e dove fosse sempre presente la consapevolezza che il futuro non avrebbe dovuto rappresentare un’ipoteca per i suoi figli, ma una ricchezza da lasciar loro in eredità. Un mondo nel quale essere parte di una “razza” significasse mettere a disposizione degli altri la propria conoscenza, scambiandola, in una sorta di baratto interetnico, con quella degli altri popoli.
Un mondo nel quale guerra e violenza sarebbero state un ricordo da rivangare come monito per le future generazioni.
Avevamo il sogno di una Italia dalla quale sarebbe stato allontanato per sempre lo spettro ideologico e mentale che aveva caratterizzato il nostro Paese nelle prima metà del ‘900 e lo aveva portato al disastro economico e sociale. Una Italia ricca non solo di passato, di storia, di cultura, d’arte, ma di avvenire, di futuro, di prospettive, di sviluppo. Un’Italia fiera tra paesi fieri, un’Italia che dalle Alpi a Lampedusa potesse riconoscersi con orgoglio e senza mai abbassare la testa negli ideali di libertà che avevano spinto i nostri partigiani a dare la vita per Lei.
Avevamo un sogno…
Oggi mi ritrovo come nella canzone di Gino Paoli ad osservare quei quattro amici al bar che vorrebbero cambiare il mondo.
Quei quattro…centomila amici di Roma quei quattro…milioni o quattro…centomilioni di amici in giro per il mondo i quali hanno capito che qualcosa non va, che è ora di cambiare le regole di questo “sistema” alla deriva, che è giunta l’ora che i suoi abitanti diventino padroni della propria vita, che l’1% della popolazione mondiale non può detenere il 99% delle risorse del pianeta, che “capi di governo” corrotti e immorali, e loro portavoce dal passato oscuro e “nero” come la pece o ridipinti a secondo delle necessità, non possono effettuare scelte che con le esigenze dei cittadini hanno poco da spartire.
Sabato scorso guardavo il viso di quei ragazzi di Acri che partecipavano, a modo loro, nel manifestare il disagio e l’incertezza che si respira giorno per giorno stando in famiglia, tra amici o fra i banchi di scuola. L’incertezza nello studio che li fa diventare prematuramente “precari fra i banchi”, quella del mondo del lavoro che travolge le famiglie ancor prima che loro stessi, quella del futuro per il quale l’abisso della disoccupazione rappresenta molto di più che un semplice spettro.
Stanno uccidendo i loro sogni, li stanno seppellendo sotto cumuli di spazzatura, sotto montagne di rifiuti tossici che ammorbano l’aria, l’acqua, la terra; li stanno uccidendo lentamente, dentro ai siparietti dei reality show, tra le scenografie delle veline prete a porter ed i guadagni facili dei quiz in prima serata. Li stanno uccidendo tra le urla televisive e le “comparsate” di personaggi arroganti e truci i quali ritengono la sopraffazione unica “ratio” per annichilire l’avversario. Stanno uccidendo i loro sogni portando la loro visione del mondo ad un “qui e subito” incapaci come sono stati resi a prospettarsi un futuro da cittadini “liberi”. Stanno uccidendo i loro sogni tra le montagne di euro sottratti alla collettività per finanziare opere inutilmente costose che come unico fine hanno quello di impinguare le tasche già stracolme dei soliti noti. Stanno uccidendo i sogni di tutti instillando l’idea che il mondo è fatto per i più furbi e per gli scaltri, mentre gli altri, le persone “per bene”, quelli che dormono tre ore per notte per cercare di tirare avanti, sono la “feccia” da continuare a prendere in giro, o come dice il presidente del consiglio, sono quelli che non contano un cazzo (frase ripresa da una intercettazione pubblicata sui quotidiani).
Eppure dentro i loro occhi non c’è ancora rassegnazione. Li ho sentiti gridare quei ragazzi, scandivano gli slogan che anche noi urlavamo qualche tempo fa. Ora, come allora, c’erano alcuni convinti ed altri più disincantati, ma avevano tutti la stessa determinazione, la stessa gioia di esserci, di riscoprirsi attori e contare qualcosa anche se, probabilmente, solo per una mattinata (sigh!).
Non c’è black bloc che tenga. I media hanno tralasciato (o hanno voluto tralasciare) di dire che dietro alla grande mobilitazione internazionale, anche i manifestanti nostrani (italiani) stavano esprimendo il loro dissenso (e, rispetto al resto del mondo, avevano qualche motivo in più per manifestare), ma forse è più comodo o, probabilmente, più opportuno, dare spazio agli oscuri (ma neanche tanto) intrecci tra governo e servizi segreti che parlare dell’insoddisfazione e della rabbia crescente nel nostro paese. E cosi, grazie a carte ben giocate, e astute mosse da provetti giocatori di scacchi, il ministro degli interni avanzerà la richiesta di instaurare un vero e proprio stato di polizia; misure che faranno impallidire quelle adottate negli anni di piombo (seconda metà degli anni ’70) quando i carri armati entravano nelle strade di Bologna a sedare le “sommosse” studentesche. Forse il primo passo verso il regime totalitario che il premier italiano auspica mediante l’assalto al palazzo di giustizia (vedi intercettazioni telefoniche dei colloqui tra il premier e il latitante Valter Lavitola).
Non c’è che dire, un bel passo avanti per chi fino all’altro ieri tirava in ballo i regimi totalitari comunisti. Si vede che le lezioni di Putin sono servite a fargli cambiare idea. In fatto di repressione ha scelto un ottimo maestro, non c’è che dire.


PUBBLICATO 19/10/2011

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