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La strada: una storia infinita di “Altopascio”

Foto © Acri In Rete
Vincenzo Rizzuto
In occasione dei miei ritorni settimanali ad “Altopascio” a bordo della mia utilitaria, giunto sulla storica frana, mi sono trovato questa volta di fronte a vere e proprie “montagne russe”, su cui la macchina ha incominciato paurosamente a sobbalzare. Dapprima ho avuto paura, ma poi mi sono calmato mentre armeggiavo sui pedali dei freni e della frizione, impegnando a fondo anche lo sterzo in uno zig-zag, sotto certi aspetti anche diverten-te, se se ne ignora incoscientemente la pericolosità!
In quegli istanti ho pensato agli antichi vetturini che tiravano le briglie quando il cavallo si imbizzarriva sulle strade polverose e piene di profonde buche; in fondo la frana è antica ed è anche “buona” perché si è mossa da sempre con grande calma ed equilibrio, specie quando veniva guidata e frenata nel suo cammino con la posa di grandi gabbioni ai piedi della montagna. Adesso quei gabbioni sono passati di moda e la frana viene violentata periodicamente con l’impiego di potenti e fragorosi mezzi cingolati che scavano e ripianano senza alcun ritegno ogni anfratto, ogni ostacolo, facendo sparire le frane come d’incanto.
Quegli stessi terribili cingoli di recente hanno fatto capire alla nostra pacifica frana che d’ora in poi l’avrebbero del tutto ignorata, e si sono messi all’opera come Titani: hanno perforato la montagna ed è venuto fuori un tunnel, con cui non sarà più necessario attraversare la vecchia frana per raggiungere il nostro mitico paese di  “Altopascio”.
La nuova opera però non promette nulla di buono, ha tutta l’aria di rimanere una delle tante iniziative incompiute, perché i fondi stanziati non sono bastati. Ed io, insieme a tutti gli abitanti di “Altopascio”, sarò costretto a raccomandarmi l’anima a Dio e alla frana per poterla attraversare. Tutto questo, ancora una volta, spinge la mia mente all’indietro, e allora, come fantasmi, mi balzano davanti agli occhi immagini degli anni Settanta del secolo scorso, quando giovanissimo, insieme ad altri pochi compagni di ventura , nelle sezioni del vecchio PCI, fra menti incartapecorite, più per artrosi precoci che per età, dovevamo difenderci quasi fisicamente da vere e proprie aggressioni da parte di sedicenti “compagni” e dai loro “familiares”, che non condividevano l’idea di portare il popolo di “Altopascio” nelle piazze per chiedere con forza la costruzione di nuove strade a scorrimento veloce verso il capoluogo, il mare e l’altopiano silano. Il paese sarebbe così uscito dal secolare isolamento e si sarebbe proiettato nel futuro.
Ma niente, quei maggiorenti, costituiti da venditori di noccioline, da improvvisati e spregiudicati impresari, da tecnici d’assalto e da sindacalisti di quartiere, fortemente radicati nel Partito, non solo comunista, spalleggiati da interi clan familiari, usavano il “bastone” per convincerci che se il paese avesse avuto nuove arterie a scorrimento veloce, sarebbero arrivati facilmente in esso droga e malaffare, e i suoi abitanti si sarebbero rovescia-ti ogni giorno con grande facilità a comprare fuori dalle “mura” mentre i commercianti del luogo sarebbero falliti!
Perciò, in quegli anni di vacche grasse, in cui si potevano realizzare grandi opere, si continuò a coltivare il proprio orticello fino a quando “Altopascio” non è giunto allo stremo delle forze, riducendosi ad un borgo rurale, da cui vengono cancellati ospedali, uffici, e servizi essenziali al vivere civile. E a nulla valgono le grandi istituzioni, come la Provincia che non c’è più ma c’è, la Regione che da sempre è ferma, e serve solo come carrozzone ad elargire lauti stipendi e vitalizi d’oro, e il Comune, ridotto ad una larva, che gestisce solo miseria, senza alcuna possibilità di intervento operativo e di programmazione nell’ambito del tessuto urbano.
Ciò che fa più pena, però, in tutta questa storia è il fatto che la anche la gente di “Altopascio”, pur di fronte a tutto questo sfascio e disagi, se ne stia quieta e rassegnata, sopportando tutto con calma quasi olimpionica, beatamente addormentata, come se vivesse nel paese dei balocchi. E allora, ancora una volta, mi viene il dubbio atroce che quei maggiorenti del PCI degli anni Settanta forse avevano ragione a chiamarci “pazzi” e “quattro gatti” perché volevano un mondo diverso!   

PUBBLICATO 03/04/2015





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