RELIGIONE Letto 1809

Orgoglio in discesa


Foto © Acri In Rete



La Calabria, che uno scrittore del Nord dichiara “asprigna e dirupata”, ha un cuore cullato da due braccia: Pollino – Aspromonte, questo Cuore si chiama Sila.
La Sila è terra selvaggia in cui sono sempre confluiti passioni e aspirazioni, l’orgoglio vi ha trovato dimora.
Tutto vi abita e tutto è esaltato come il cuore dell’uomo che sogna cose grandi. Il nome Sila ha lunga storia, gli starebbe bene anche “Isola Bella” perché ricca di profondi boschi sempreverdi e ubertose vallate.
Quelli che vi arrivano sono in cerca di identità, quelli che partono hanno trovato e sono cambiati.
Qui si cerca identità nuova fatta di coraggio colorato di energica fantasia. I panorami forti, estesi e sempreverdi sono spazi assoluti che elettrizzano sguardi acuti ed ampi oltre l’orizzonte.
Sedersi in vetta e ammirare le tre vallate significa entrare nell’immensa cattedrale gotica dove tutto poggia su svettanti colonne. In Sila le colonne sono vive e in crescita, parlano, parlano di tempi lontani quando l’uomo si fermava, contemplava, rispettava.
Poi chiudeva gli occhi e restava muto, concentrato sul vigoroso stormire del vento tra gli alti rami del pino laricio.
Il grande Pitagora si portava su queste alture per ascoltare la musica emessa dal moto dei Pianeti. Quella musica lo faceva sognare ed amare.
Qui il passato è presente. Sensazionale Sila! Offre sempre la chiave per scovare i begli occhi dell’aspra Calabria. I begli occhi non riflettono cielo vuoto, ma un cielo carico di mistero divino che trasporta in alto. Qui l’uomo prende coscienza della sua libertà e della sua dignità, può guardare con nostalgico stupore la bellezza, la si sente vicina, la si sente propria, è diventata orizzonte della propria vita.
Sono due le forze che scuotono chi si porta sull’altopiano per conoscere il grande bosco: una forza ascensionale che vola verso le belle chiome del pino laricio, una forza orizzontale che sfuma in lontananza.
Queste due forze racchiudono una componente spirituale che concentra l’immaginazione: si vede, si ammira con flusso di insoliti sentimenti.
Un lasso di tempo davanti all’ipnotico gorgoglio là dove nasce il Neto, dove comincia il suo viaggio verso il mare e l’ipnotico gorgoglio vi parla, vi parla dei briganti dell’8oo, della loro precaria esistenza fatta di precipitose fughe, di celeri spostamenti, di agguati mortali.
Spostiamo lo sguardo verso i profondi canyon verdeggianti: l’acqua, la neve e il vento hanno scavato e i millenni li hanno resi spettacolari.
L’acqua, tanta acqua, che, sembra sgorgare dalla pancia del nulla, disseta l’altopiano e i tanti paesi della fascia pre silana.
Qui nascono e si sviluppano i valori spirituali: pensiero, intelletto, anima e memoria. Questi valori diventano protagonisti e generano idee.
La nostra Sila è dono del cielo, vi si respira clima di salute, la buona salute ha qui le sue radici: il prodigio della fotosintesi clorofilliana rinnova in continuazione.
Qui le ore passano come in un sogno, si ammira, si ama, si sogna.
Sognano le persone intelligenti il bello della natura, sempre il più bello, il verde del bosco è vita che vi inebria.
Sogna pure l’imbecille a come gestire in proprio la ricchezza del bello che Dio ha creato per tutti. Godiamo e rispettiamo con tutta la forza della passione la nostra bella Sila.
Se non si rendono innocui al più presto i citati imbecilli corriamo l’imminente rischio di “amare una cosa morta”.
E’ delitto l’operato di alcuni nostri amministratori: cattivi, insaziabili, irresponsabili. Tagli ingiustificati hanno creato zone vuote, qualche giornale ha parlato di carceri, ma nessuno vi ha sostato.
La Sila senza alberi è morta, è deserto arido senz’acqua, è desolazione degna del Profeta Ezechiele. Unici segni di vita capaci di resistere: l’urticante processionaria, lo sciacallo che ulula nella notte.
Il lupo resta in qualche sbiadita foto appesa al muro.
Sono arrabbiato e depresso, anche oggi ho visto un camion stracarico dei pini migliori.
Mando una maledizione araba a chi taglia e a chi permette il taglio dei nostri pini: “Che muoiano con in bocca sterco di cammello, Allah li terrà lontani dal suo sguardo”.

PUBBLICATO 19/05/2021  |  © Riproduzione Riservata

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