OPINIONE Letto 1081

Il desiderio di una vita


Foto © Acri In Rete



Lei era una donna africana, giovane, poco più che quarantenne, sola, sfortunata, malata terminale di cancro.
Era arrivata in Italia con il suo unico figlio, piccolo, piccolo, sfuggendo alle guerriglie locali, la sua famiglia era stata trucidata, loro erano stati gli unici ad essersi salvati.
Il figlio gli era, poi, stato sottratto dalle leggi italiane, lei non aveva la capacità economica per sostenerlo e lei voleva offrirgli un futuro migliore, era la sola ragione che l’aveva protetta dalla paura durante tutta la loro fuga.
Lui fu adottato da una famiglia del Nord Italia ed ebbe una vita migliore, si era laureato, si era sposato, adesso aveva un figlio. Leiha vissuto vent’anni in Italia senza averne più notizie, le era rimasto solo il suo nome e il suo cognome a legare il ricordo stretto al suo cuore di mamma.
È sempre stata da sola, in umiltà, facendo tutti i mestieri che si possono offrire ad una donna africana, giovane, sola, povera e ignorante.
Non ha mai avuto altre pretese che vivere e lavorare con dignità ma, in punto di morte, in ospedale, aveva espresso due desideri:
essere battezzata e rivedere suo figlio, aveva un regalo che voleva, assolutamente, dargli!
Al capezzale del suo destino non c’erano amici o parenti ma solo i volontari dell’ospedale che erano diventati i suoi amici, i suoi parenti.
Sono uomini e donne che, ogni giorno, offrono il loro tempo libero ad aiutare chi, in ospedale, ha bisogno di aiuto e non sa a chi chiederlo.
È una mano tremante da stringere forte, una parola flebile da ascoltare, una bocca da aiutare a sfamare, una caramella dolce per ritrovare per un attimo il gusto della vita, un sorriso da condividere. Sono, in apparenza, tutte piccole cose, la cui importanza sfugge, però, solo a chi non ha mai accudito la solitudine del dolore e di un campanello che suona ma a cui non risponde chi vorresti fosse.
I volontari bussarono a tutte le porte, religiose e laiche, iniziarono a cercare il figlio, avevano anche loro un unico indizio, il nome e il cognome, spuntò una traccia, una targa, un automezzo intestato, si rivolsero all’ACI e il miracolo fu compiuto.
Il vescovo autorizzò un sacerdote ad officiare il battesimo, nella stanza d’ospedale della donna fu approntato un piccolo altare, una ciotola d’acqua benedetta, c’era tutto perché, soprattutto, c’era anche il suo adorato figlio con suo figlio, il nipotino.
L’abbraccio è stato interminabile, muto a tutte le parole, tutte inutili a dire dell’amore di una mamma che ha ritrovato suo figlio.
Alla fine del giorno più bello della sua vita, la donna chiese al figlio di aprire il cassetto del suo comodino. Dentro c’era una busta, custodiva un assegno, erano tutti i suoi risparmi che lei aveva accumulato in attesa di poterli dare al suo unico figlio, era il suo regalo d’addio.
La donna morì dopo pochi giorni, aveva esaudito tutti i suoi desideri, adesso, era finalmente felice.
Walter è un uomo anziano, buono, profondamente religioso e i pazienti lo adorano, lo aspettano ogni mattina.
Lui è un volontario e, tutti i giorni, indossava il suo camice azzurro e veniva in Ospedale, aveva una caramella per tutti “dottore, le compro fresche tutte le mattine”, io lo chiamo così “l’omino delle caramelle!
L’ho visto fare di tutto, aiutare ad imboccare il brodo, sistemare le pantofole ai piedi del letto, accompagnare i pazienti a prendere i farmaci ed è sempre lui, soprattutto, assieme a sua moglie, Antonietta, volontaria anche lei, ad aver ritrovato il figlio della mamma nigeriana.
È una storia di venticinque anni fa che mi ha raccontato in uno scritto dove ho letto, riga per riga, ancora tutta la sua emozione, come se il tempo non fosse mai passato perché quella donna, lui e la moglie, non la dimenticheranno mai, è un abbraccio senza fine.
Oggi sono iscritti ad una associazione religiosa che non ha la convenzione e l’Ospedale ha comunicato loro che, a norma di legge, non possono più indossare il loro camice. Adesso, lui e sua moglie, sono a casa ma hanno un solo desidero, è non lasciare sola un’altra mamma sola!
La sua lettera si conclude così “dottore, perché non possiamo più fare il volontariato in Ospedale?”
Caro amico mio, in Italia, sopra ogni aula di tribunale, c’è scritto “La legge è uguale per tutti”, poi scopri che, per alcune volte, non vale proprio per tutti e che un delinquente ha ancora il diritto ad essere libero di rubare, per altre volte, è una legge che, invece, non dovrebbe valere per nessuno o, almeno, non per chi, come te e tua moglie, è stato capace di esaudire il desiderio di una vita al prezzo di una caramella da un sapore dolcissimo, quanto può essere solo il cuore di una mamma e, oggi, non è più libero di regalare, ancora, carità cristiana.
Da figlio, da medico, da cittadino, vi arrivi anche il mio abbraccio e il mio più sincero GRAZIE

PUBBLICATO 28/10/2025  |  © Riproduzione Riservata




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