RELIGIONE Letto 1650  |    Stampa articolo

I care

Foto © Acri In Rete
fra Piero Sirianni
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La su citata espressione, nata dalle viscere di misericordia di don Lorenzo Milani a Barbiana (Firenze) negli anni ’60 dello scorso secolo, interpella ancora le coscienze di oggi. “Io mi interesso, a me sta a cuore, io mi prendo cura, io mi sporco le mani” sono affermazioni che traducono una presa di coscienza netta – che diventa, poi, fruttuosa in opere concrete di bene.
Il prete fiorentino si spese, mise la faccia, per offrire alle giovani generazioni un futuro lontano dall’ignoranza – e dalle conseguenti ingiustizie –, per aprire le porte e tracciare una strada verso un avvenire maggiormente umano. Per don Milani erano importanti e centrali le vite ed i cammini di quei ragazzi, che la Provvidenza gli aveva posto sul proprio cammino; per essi offrì le proprie energie, senza riserve.
Decenni dopo, possiamo rileggere questa storia ricercandone le cause profonde: il sacerdote era animato da un urgente bisogno di riscatto sociale, come anche dalla vocazione evangelica alla promozione umana di ogni uomo.
Circa 1900 anni prima veniva scritto del Signore che predicava alle folle: «Do la mia vita per le pecore» (Gv 10,15b). Nel secolo XIII Francesco d’Assisi coglieva l’invito divino rivolto a sé: «Va’, Francesco! Ripara la mia casa che, come vedi, va tutta in rovina!».
L’uomo di fede – ma possiamo affermare: anche la persona umana di buona volontà – si lascia interpellare da vocazioni come queste; si mette in gioco; rinuncia a qualche progetto personale, per la causa del bene comune; investe i propri talenti, al fine di aiutare gli altri.
Infondo, siamo nella medesima logica evangelica: quella dell’episodio avvenuto a Betania, il quale riporta lo “spreco” di amore da parte di Maria nei confronti del Maestro (cfr. Gv 12,1-8).
Conseguentemente, oggi l’interrogativo giunge per ognuno di noi: vale la pena offrire il proprio tempo, le fatiche, per il bene di qualcun altro? Per rendere migliore questo nostro mondo (nella piccolezza della quotidianità)? Abbiamo la forza e il desiderio di credere negli investimenti “a fondo perduto”? Possiamo noi assumere la logica evangelica del seme che è chiamato a morire – nel silenzio e nel nascondimento – per portare molto frutto?
Io credo proprio di sì! Ne vale sempre la pena.
Prenderci cura degli altri, della Terra, dei più bisognosi, delle nuove generazioni, delle fragilità; il Regno di Dio è nelle nostre mani: «Non è cibo o bevanda, ma giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo: chi si fa servitore di Cristo in queste cose è bene accetto a Dio e stimato dagli uomini» (Rm 14,17).
Spendiamoci per gli altri nella gratuità, amiamo, benediciamo; e saremo costruttori di un’umanità nuova e redenta, più solidale e fraterna.


PUBBLICATO 18/05/2022 | © Riproduzione Riservata





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