Uno studio sulle “strane” rocce di Serravuda sarà presentato in un convegno internazionale a Potenza
Roberto Saporito
Uno studio multidisciplinare (mineralogico, petrografico, chimico) e indagini preliminari, condotti su rocce vetrificate rinvenute sulla sommità della collina di Serravuda, saranno presentati in un convegno internazionale che si terrà a Potenza il prossimo 20 settembre nell’ambito di una tre giorni che vedrà impegnati geologi, geochimici, petrografi, vulcanologi.
Lo studio è stato realizzato da Gian Paolo Sighinolfi (nella foto), Università di Modena e Reggio Emilia, Massimo Di Salvatore, Università di Milano, Francesco Foggia, geologo, Giovanni Turano, Associazione A.C.R.I. Nei prossimi giorni il prof. Sighinolfi, su invito di Foggia, sarà ad Acri. Sarebbe opportuno e interessante che il Comune, assessorati alla cultura, ambiente e territorio, cogliessero l’occasione per organizzare un evento pubblico su una vicenda molto interessante. Sono certo che il Comune, sempre disponibile a Patrocinare anche eventi di piccola e media portata, banali e inutili, non farà mancare il suo supporto a questo significativo risultato. Lo scopo dello studio dei su citati professionisti era quello di determinare l'origine delle “strane” Rocce di Serravuda, e, in particolare, verificare se si siano formati attraverso processi naturali o siano il risultato di antiche attività antropiche. La distribuzione spaziale delle rocce vetrificate suggerisce che esse formassero una sorta di struttura muraria semicircolare spessa 30-40 cm che si estendeva per alcune decine di metri (circa 25 m di lunghezza). Dati comparativi mineralogici, chimici e isotopici sui frammenti di roccia vetrificata e sulle rocce del substrato roccioso indicano una natura alloctona per la maggior parte del materiale utilizzato per la costruzione della struttura e un possibile trasporto da parte dell'uomo a partire dai fianchi fino alla sommità della collina. La posizione della struttura vetrificata posta sulla sommità del colle, la sua morfologia ed alcuni dati chimico-mineralogici sui materiali (es. metalli in traccia tecnologici) escludono l'ipotesi che essa corrisponda a resti di antiche fornaci per la produzione di ceramica o per attività metallurgiche. Piuttosto, i dati suggeriscono che originariamente fosse stato costruito appositamente per scopi difensivi, analogamente ad altri siti storici e protostorici nell’Italia meridionale e altrove in varie aree del Mediterraneo antico. Allo stesso tempo, i dati escludono l'ipotesi che la cementazione dei frammenti di roccia ottenuti per fusione parziale in situ sia il risultato di processi naturali (incendi, fulmini, impatti extraterrestri). Sembra, invece, che la struttura vetrificata sia stata ottenuta da un evento di riscaldamento provocato dalla combustione di legname appositamente inserito dall'uomo tra i materiali utilizzati per la costruzione, di cui sono ancora visibili diversi calchi impressi sulla matrice vetrosa. I dati mineralogici suggeriscono che durante il riscaldamento delle rocce si raggiungessero temperature relativamente elevate (fino a 1100 °C), capaci di produrre estese fusioni delle rocce, soprattutto di quelle più ricche di fillosilicati (gneiss biotitico). Osservazioni e confronti suggeriscono forti analogie tra la struttura di Serravuda e i forti vetrificati del Nord Europa, la cui costruzione è stata generalmente e recentemente ascritta al primo millennio d.C. Le poche datazioni TL finora disponibili, effettuate sul vetro di Serravuda, escludono l'età post-romana. o Medioevo per la loro formazione, ma suggeriscono un'età plausibile per l'evento di vetrificazione, che è il 2000-1200 a.C. I dati raccolti pongono interrogativi intriganti non solo sull'origine e la funzione di questa vetrificazione, ma anche sull'identità dei costruttori di questa struttura, sulla loro organizzazione socio-economica e sulle modalità di occupazione e controllo del territorio. Serravuda è un colle di 900 metri situato a nord ovest del centro abitato di Acri, che sovrasta la valle del Crati. Tutto parte nel 1970 quando Francesco Foggia, geologo, docente in quiescenza, allora studente di scienze geologiche, decide di sottoporre all’attenzione di alcuni suoi docenti dell’università di Modena, un campione di roccia prelevato in questa area. Foggia si era incuriosito in quanto quel campione mostrava particolari segni tali da non assimilarlo ad una roccia del luogo (granito, gneiss). Il primo ad esprimersi fu il prof. Bertolani che in occasione di un convegno (1972) disse che la genesi della particolare roccia poteva essere attribuita all’impatto di un meteorite. Qualche anno fa Sighinolfi, dopo aver effettuato vari sopralluoghi e studi, ha definito l’affioramento di inestimabile valore dal punto di vista geominerario e scientifico. |
PUBBLICATO 05/09/2023 | © Riproduzione Riservata
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