La fortuna di vivere in una piccola città


Manuel Francesco Arena

Capita a tutti spesso di arrabbiarci per ciò che non va. E’ vero, tante cose possono e devono migliorare. Premesso ciò, non voglio divagare. Il senso in cui voglio parlare non vuol essere una denuncia, poiché sebbene mi diletti nello scrivere poesie, racconti e sprazzi di vita quotidiana, fare il cronista non è il mio mestiere.
Perciò preferisco lasciarlo fare a chi sa farlo meglio di me. In questa mia breve esposizione, voglio solo cimentarmi in qualcosa che con umiltà, al di sopra delle parti, possa offrire uno spunto di riflessione. E’ chiaro a tutti che la nostra cittadina così come tante altre sparse per l’Italia interna e del meridione in particolare, è vittima di un feroce spopolamento. Tra quelli della mia generazione, non è rimasto quasi nessuno. Abbiamo perso la nostra gioventù migliore, menti brillanti che per il mondo hanno avuto il meritato successo che non sono riusciti ad avere qui dove diciamocelo chiaramente, non per far polemica, come ebbe a scrivere il Padula quasi duecento anni fa: “Chi ha, è!”. Nella mia esperienza, tanti miei amici che sono partiti da anni, mi chiedono cosa ci faccia ancora io ad Acri dove non c’è nulla. Una domanda retorica che come il titolo di un libro di Bruce Chatwin, mi spingeva fino a poco tempo fa a formularmi questo continuo leitmotiv: “Che ci faccio qui?”. Finalmente solo in ultima sono venuto alla conclusione che in fondo, la partenza così come ancor di più la restanza (per usare questo neologismo coniato da Vito Teti) è un coraggioso atto di resistenza. A questo punto una resistenza passiva senza dar nulla al luogo che vivi, sarebbe senza senso di esistere. Nel mio piccolo per non chiudermi in questa zona confort, provo a dare il mio contributo per la mia terra attraverso i miei libri e di tanto in tanto tramite umilissimi post sul mio profilo facebook. E’ proprio questo, lo scrivere, che ho scoperto negli anni come mia vocazione. Così come lo è anche scoprire i luoghi vicini al gradino di casa, le storie e chi le vive affinché vengano svelate ed arrivino il più lontano possibile. In questo modo semplice, nel bene e nel male, ho provato anche a dar senso a questo mio ostinato e smisurato amore per il posto in cui sto. Inoltre sono convinto profondamente che abitare in un piccolo centro dove ci si conosce tutti, parlare nel pomeriggio in piazza mentre si sorseggia un caffè, vivere con lentezza, mangiare le ciliege direttamente dalla pianta vicino casa, spostarsi da una parte all’altra senza restare per ore nel traffico, sia un lusso e non una sfortuna. Ci avete mai pensato? Almeno io non riuscirei mai a vedermi in una metropoli contornata da palazzi e stradoni. Ciò mi provoca vertigine solo ad immaginarlo. Anche se con un pizzico di fatica, alla fine posso dire di aver trovato il giusto compromesso tra odio ed amore per vivere felicemente in Calabria, in questa località incastonata nell’Altopiano più a sud d’Europa. Mi capita sempre più spesso di riflettere a quanto bello sarebbe un giorno se chi è partito non per scelta negli anni, possa tornar di nuovo giù a riempire di vita le vie ed a far bella la nostra cittadina così come lo è in estate, quando si torna alle proprie radici in vacanza. Eppure ciò mi rendo conto che è un’utopia, ma se c’è pure una speranza che ciò possa accadere, io voglio fare la mia parte. Come? Negli unici modo che posso farlo: attraverso i miei occhi e con la penna in mano. So che è poco, ma da sognatore non posso e non voglio rassegnarmi a vedere questi luoghi morire. No, questo non può succedere almeno finché uno di noi, uno miserrimo di noi, sarà vivo ed avrà forza di dar dignità ai luoghi attraverso la memoria. Non scordiamocelo mai, in fondo tutti contiamo e tutti possiamo fare la nostra parte anche attraverso una semplice parola al vento. |
PUBBLICATO 10/05/2025 | © Riproduzione Riservata

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