Acresi – Acritani – Acretini


Angelo Gaccione

La geografia designa come “acresi” gli abitanti di Acri. Giuseppe Abbruzzo (appassionato di tradizioni popolari), forse in omaggio al vernacolo, utilizza invece per designarli, il termine acritani. Confesso che a me è capitato di usare molto spesso, negli ultimi tempi, il termine meno reverenziale di “acretini”. Si badi che la a non ha qui valore privativo.
Ci comportiamo infatti, noi acresi o acritani, da acretini, quando per esempio diamo il voto (per comparaggio? Per amicizia? Per tornaconto?) ai personaggi discutibili che poi la cronaca giudiziaria si incarica di esibire sulle pagine dei giornali con disonore. Quando un’intera zona della città viene lasciata al buio per venti o più giorni, e troviamo tutto ciò naturale. Quando mezzo paese va in delirio e invade le piazze per un cantante, una partita, un evento religioso, ma lascia chiudere il reparto maternità dell’ospedale e costringe le partorienti a precipitarsi a Cosenza, Rossano, Castrovillari, lungo strade e percorsi allucinanti. A questo proposito segnalo che non ci sarà a breve un solo nascituro che avrà scritto sui suoi documenti “nato ad Acri”. Fra pargoli che nasceranno altrove, emigrazione selvaggia e case in vendita, nel giro di un trentennio forse l’intero paese, o quel che ne resterà, assumerà una diversa e più desolata fisionomia. Ma intanto continuiamo a comportarci da acretini accampando mille scuse e a lamentarci per il fastidio di dover fare una semplice, civile, raccolta differenziata, dimenticandosi che l’alternativa era di avere le strade invase di immondizia. Ci preoccupiamo del piccolo fastidio che ciò comporta, ma non ci siamo preoccupati affatto di capire se i rifiuti potevano diventare per noi una risorsa: carta, ferro, plastiche, vetro, alluminio, stoffe… umido… Se non si poteva (o almeno verificarlo in prospettiva, ora che l’emergenza è stata risolta), creare un Consorzio di Comuni e gestire l’intero ciclo (raccolta, selezione, trasformazione) e ricavarne posti di lavoro e danari per la collettività. Se non si poteva, alla peggio, venderli come materiali di riciclo ad aziende fra le più diverse, come già fanno in tante città. Gli oltre 4 milioni all’anno che il Comune spende per far smaltire ai privati la spazzatura di Acri non sono uno scherzo, considerato il bilancio e i bisogni della città. Ci comportiamo da acretini quando, approviamo che gli alberi di un viale vengano sacrificati perché il vento spinge le foglie davanti alla propria porta, ma non si muove un dito per curare aiuole di proprietà lasciandole incolte e seccare, perché si aspetta sempre che sia qualcun altro a farlo. Quando non ci si vergogna di affermare che sono gli alberi a rendere buia la strada. Per tornare a diventare semplicemente acresi dovremmo forse interessarci delle cose che hanno importanza, lasciando da parte quelle che ne hanno meno o non ne hanno alcuna. Ho appreso questa estate che Acri vanta numerose associazioni. C’è persino l’Associazione delle Associazioni: niente di male, anche a Roma c’è una Via del Corso… Una di esse ha un bel nome, si chiama “Acri nel cuore” e certamente ha a cuore la città. Pare che vi siano anche dei Cinque Stelle (non si tratta di alberghi, ma di due raggruppamenti politici); sarebbe magnifico se tutti questi soggetti e associazioni anche su queste cose battessero un colpo. Ce n’è davvero bisogno. |
PUBBLICATO 13/08/2016 | © Riproduzione Riservata

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