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SCUOLA di VITA AD ACRI: il maestro Pirillo.

Elisabetta Fiorentini
Foto © Acri In Rete
Ci sono delle costanze che vanno premiate, quella ad esempio di un lettore che, con indomita insistenza, da diversi anni, continua a tempestarmi di messaggi, di appelli, di raccomandazioni.
Così approfittando della mezza settimana delle ferie natalizie, sono scesa nel cuore della Sila greca per incontrarlo.
A conti fatti, la premiata sono stata io, perché ho avuto modo di conoscere un paesaggio stupendo e intatto, di godere di un’ospitalità che noi del Nord stiamo dimenticando, ma soprattutto ho avuto modo di parlare di scuola con chi la scuola ha amato e ama di un amore estroso, esclusivo, appassionato.
Un maestro è questo mio lettore, in pensione dopo gli ormai leggendari quarant’anni di servizio: “Avevo il 5% di ripetenti quando la media viaggiava intorno al 35 e 40%”, ancora vivace di mente e di interessi, che sale e scende le scale con un piglio da atleta e che dopo i saluti e i convenevoli non stacca un momento per confidarmi tutte le sue ansie, per affidarmi tutti i suoi auspici.
Comincia e insiste con la sua convinzione che la scuola dell’obbligo dovrebbe restare sempre aperta. I ragazzini non amano le vacanze, queste convengono ai maestri e ai professori che potrebbero avvicendarsi in ragionevoli turni per assicurare un’animazione culturale costante. Le quattro e cinque ore la mattina sono un’assurdità, dovrebbero essere meglio distribuite in due momenti, in modo che non si arrivi all’estenuazione intellettuale degli alunni. Dopo tre ore i ragazzi non ricevono più nulla, si annoiano e basta. I libri di testo, così come li sforna un’editoria avida e illusionista, proprio non vanno, li si sostituiscano con manuali stimolatori della ricerca e della curiosità.
Gli attuali repertori enciclopedici scritti per iniziati, costringono i giovani a rifugiarsi tra i fumetti. Al mio nipotino si chiede di conoscere del Tigri e dell’Eufrate, ma non sa niente del Mucone, che scorre sotto casa. Gli si impone di ricordare lo stile composito di S. Basilio di Mosca, quando il suo gusto è fermo all’abbigliamento casual di Topolino.
La scuola è un porto e i giovani non devono lasciare le sue acque prima che abbiano imparato a governarsi, essa deve bastare ai piccoli nella cui giornata non devono innestarsi tanti e diversi indirizzi e apprendimenti da parte di istituti ed enti non sempre responsabili.
La scuola dovrebbe essere tutto questo: palestra, circolo, teatro studio, perciò deve restare sempre aperta, mattina e pomeriggio, estate e inverno, essere campo di giornaliere sperimentazioni e, come per il corpo si cambia dieta ad ogni volgere di stagione, così sia regolato il processo di alimentazione intellettuale, e non ci saranno lamentele e sforzi e richieste di riposo.
In una scuola così concepita si acquisterà, inoltre, l’abito della meditazione, una maggiore sistematicità per un’applicazione più costante e proficua, non ci saranno né ripetenti né ritardatari.

Sotto il diluvio di parole e travolta dalla passione che le accompagna, vedo delinearsi davanti a me il meglio della tradizione pedagogica europea da Tolstoj ad oggi: una scuola appunto palestra di ogni iniziazione alla complessità della vita, condotta da maestri di umanità, come quello che ho davanti versato in ogni arte. Egli, infatti, compone musiche, poesie in italiano e dialetto, modella cera, creta e bronzi, è stato operaio e muratore. Sparsi un po’dovunque per la casa sono in chiave di delicato verismo i bozzetti dei suoi ispiratori, la Montessori, Mazzini, Don Bosco, Lombardo Radice, Volpicelli, una meno nota maestrina dalle trecce d’oro.
Mi chiedo quanto la scuola debba a persone come queste che hanno fatto dell’educazione di ragazzi poverissimi in ambienti ancora più poveri un’inesauribile occasione di stupore per un sempre nuovo inno alla gioia e alla vita.Osservo gli schizzi a penna di scolari, di lontanissime annate scolastiche 1936, 1937, accompagnati da versi gentili: “Due gomiti puntati sul banchetto, due mani a mo’ di coppa: un ovo ivi costretto, d’Ernesto ecco l’aspetto”. Gli occhi della Peppina sono “due rondinelle trepide sospese al loro nido” la fronte di Menicuccio è “una falcetta di luna”. Poi c’è Pasquale “ dalle labbrucce uguali, dagli occhi tondi e fondi
Il pensiero va alla raccolta di Lombardo Radice Atena fanciulla, ma anche ai visetti dei miei scolari delle elementari che, non sapendo io né disegnare né poetare, né modellare, fotografo di continuo perché le espressioni dei bambini nei loro primi cimenti con il sapere e con il conoscere restano fra le poche reali provocazioni che mi tengono ancora, nonostante tutto, legata alla scuola e alle sue sorti. Con questi bambini ho contratto una sorta specialissima di debito che non riuscirò mai a pagare del tutto e, poiché al maestro Pirillo deve essere capitata la stessa cosa, ci siamo capiti al volo e ci siamo sentiti parte di una stessa storia, assurda ma affascinante.

PUBBLICATO 05/04/2009

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