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“La politica come sprofessione in campagna arraforale”.

Fabio De Marco
Foto © Acri In Rete
C'era una volta, e c'è ancora, nel centro presilano di Acri, una modalità perversa di ricerca del consenso politico.
Il termine "ricerca", infatti, non è utilizzato in maniera neutrale come sinonimo di volontà di promozione/condivisione di un programma, ma si riferisce alla pratica dell'indagine e dell'individuazione non solo del voto, anche del votante.
Questa ricerca del voto non è riferita neanche alla forma clientelare, che pur si verifica come residuo arcaico di asservimento che si trascina nella modernità, ma di cui si è già detto troppo.
E non è riferito neppure a legami o "reti" diverse su cui poter contare perché non necessariamente queste agiscono in cattiva fede, della serie votare il parente non è cattiva pratica, anzi!, purché questo sia riconosciuto dal soggetto come persona valida ed aperta al confronto (ad esempio molte giovani coppie del "sud" Calabria, ancora oggi, si congiungono in matrimonio tra consanguinei, modalità di legame familiare su cui si fondano le 'ndrine, ma non per questo il loro legame costituisce inevitabilmente la produzione/riproduzione di associazione malavitosa).
La "perversa ricerca del voto" di cui intendo parlare è molto più minuziosa ed efficace negli effetti quanto più becera e rivoltante - nonché persecutoria - nella forma.
Questa prassi si manifesta mediante esplicita indicazione "dell'attore principale" (candidato), da parte "dell'attore agente" (ricercatore di consensi), al singolo votante che dovrebbe prenderne atto. Il prenderne atto non è un'azione che il votante esaudisce in un eventuale pronuncia verbale (Si! o Ok!), magari esposta in preda ad una crisi di nervi dovuta all'indignazione per la spiacevole richiesta o per volontà di liquidare al più presto l'interlocutore. Ma si forma in un documento contenente le memorie ( appunti sul taccuino) riguardo al nome, ai dati personali ed alla sezione del votante. Tutte notizie registrate a cura dell'agente (che è spesso dotato anche di una buona memoria visiva che giura di sfoggiare nel collegio al momento della votazione).
Ora, premesso che il corpo votante non è così ingenuo da credere che quell'"Atto" abbia un valore giuridicamente rilevante, è fuor di dubbio, però, che questa notifica (forse firmata), magari connessa a qualche promessa post elettorale di facciata, veicoli un'influenza sull'intenzione di voto che non è affatto trascurabile.
Il votante, infatti, è sicuramente una persona che da un peso ai propri impegni e meno spregiudicata rispetto agli attori "principale" e "agente" che si dimostrano privi di dignità personale agendo in maniera contraddittoria due volte. La prima nei confronti del votante a cui si chiede la fiducia che non viene ricambiata annotando per iscritto al fine di disciplinarne l'azione;
La seconda nei confronti delle loro stesse capacità politiche, di fatti, gli basterebbe solo socializzare le buone intenzioni, la creatività, le idee, la disponibilità, il programma politico. Ciò eviterebbe di generare nella gente passioni tristi, meri sentimenti di compassione verso la vergognosa volontà di conservare una poltrona a danno della pacifica e legittima rappresentanza politica di popolo.
Il nostro nome che riposa sull'agendina "dell'attore agente" oltre a rappresentare una pericolosa regressione culturale consacra la morte di una rappresentanza politica già logorata, fortunatamente, dalla fine delle ideologie e dalla disillusione dalle promesse messianiche.
Con la globalizzazione che incide violenta sulle realtà locali, come abbiamo potuto constatare con la recente privatizzazione dell'acqua, i giochi di potere per futili interessi appaiono del tutto anacronistici.
Occorre lavorare con forza per cambiare la capacità di rappresentazione che si ha del locale, per creare un ambito locale capace di influenzare il globale.
Certo, questi modi squallidi di far politica rallentano il processo di cambiamento che altrove coltiva, in maniera irrefrenabile ed irresistibile, un forte desiderio di rivalsa.
"C'era la volontà ma mancava la capacità" (Karl Marx, Manoscritti, 1844).
"Il tempo è lo spazio per lo sviluppo delle capacità" (Karl Marx, Teorie sul plusvalore, 1862).

PUBBLICATO 09/02/2010

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