OPINIONE Letto 4284

Ernia si, ernia no?


Foto © Acri In Rete



Questo che voglio raccontare non è un vero e proprio caso di malasanità: forse, però, poteva diventarlo. Di sicuro, l’esperienza accaduta a mio padre, e dunque in maniera indiretta anche a me, può essere definita come un episodio in cui la chiarezza è da approssimare allo zero.
Mio padre, pensionato sessantenne, da qualche anno è affetto da ernia ombelicale. Dopo anni di convivenza con questo problema, la sua decisione di procedere ad intervento chirurgico.
Nel mese di luglio 2018, le prime analisi di controllo per valutare la fattibilità dell’intervento (da considerare che nel 1993 mio padre ebbe dei problemi cardiaci, poi risolti al meglio) e tutti gli eventuali rischi di un intervento comunque considerato “semplice”.
Tale intervento, nella quasi totalità dei casi viene effettuato in day-surgery, e nell’ospedale di Acri si eseguono molte operazioni di questo genere.
Dall’esito degli esami, la decisione di operare nel mese di ottobre, per la precisione il 17. Essendo, dunque, paziente che assume cardio aspirina, gli sono state prescritte delle punture di calciparina, un farmaco che viene impiego essenzialmente per la cura della profilassi e anche nei trattamenti che mirano a contrastare la patologia tromboembolica venosa ed anche arteriosa, e di conseguenza la sospensione della cardio aspirina. Arrivati però, al 16 di ottobre, cioè a 24 ore dall’intervento la prima anomalia: secondo gli anestesisti le analisi del sangue effettuate da mio padre erano “troppo vecchie” e dunque da rifare, tutto ciò significava l’annullamento dell’operazione.
Dopo qualche ora da questa comunicazione, però, la decisione di effettuare d’urgenza le stesse analisi nella mattinata del 17 e procedere poi all’intervento a risultati acquisiti. Fù così, che puntualmente, muniti di tutto l’occorrente per un ricovero e soprattutto di tanta pazienza, nella mattinata di mercoledì 17, io, mia mamma ed ovviamente l’interessato, ci recammo nel reparto di chirurgia dell’ospedale di Acri, per effettuare le analisi e dunque “sperare” nell’intervento.
A ricovero in day-surgery ed analisi effettuate, i risultati delle stesse, consentivano l’intervento. Ma come nei migliori thriller   un colpo di scena ha negato l’intervento. Il tutto dipendeva dalla presenza di un solo anestesista in sala operatoria, e da ciò che ci è stato riferito dal personale medico presente nell’occasione in casi del genere ne occorrono due. E’ vero?. A malincuore, dunque, e con un senso di sorpresa e rassegnazione il ritorno a casa: intervento rimandato di una settimana. Sette giorni di altre punture di “Calciparina” e sospensione della “Cardio Aspirina” ma come ovvio anche il normale stress che nonostante  un intervento che da molti è considerato di “ordinaria amministrazione” è sempre e comunque un intervento. La goccia che fa traboccare, il vaso della pazienza, arriva però mercoledi 24, giorno in cui l’ormai nota operazione era stata fissata.
L’arrivo in ospedale alle ore 7, ricovero in day-surgery ma anche in questo caso con immenso stupore, il rifiuto nel sottoporre mio padre all’intervento. Il tutto comunicatoci con grande stupore anche dal chirurgo che doveva operare, lo stesso con un pizzico di delusione comunicava che tale operazione non poteva essere effettuata in quanto uno degli anestesisti ha assegnato un “ASA 3” al paziente. Documentandomi, ho capito che l’ASA è una classificazione dello stato fisico del paziente sottoposto ad anestesia, in una scala di valori che va da 1 a 5. Un ASA 3, dunque, non è operabile nell’Ospedale di Acri e, in questo caso è emerso il buon senso dell’anestesista che non si è assunto le responsabilità. Da sottolineare, però, che appena 12 ore prima, nel colloquio avuto tra mio padre ed un anestesista (evidentemente diverso da quello che doveva effettuare l’anestesia durante l’intervento) l’ok a procedere all’operazione.
Il rammarico però, che mi ha portato a scrivere questa lettere di denuncia, stà proprio nella mancanza di chiarezza.
Nessuno chiede di dover operare a tutti i costi un ernia che non può essere operata nella struttura acrese, perché sprovvista degli adeguati reparti e strutture in caso di complicanze, ma nello stesso momento mi chiedo e chiedo anche agli operatori del settore ed hai responsabili: perché non è stato detto prima a mio padre che tale operazione non poteva essere effettuata ad Acri? Perché per due volte consecutive nell’arco di 7 giorni è stato programmato un intervento, effettuato un ricovero e poi a pochi minuti dall’operazione tutto è stato annullato?
Perché il personale degli anestesisti che operano nel reparto di chirurgia hanno dei pareri contrastanti ed opposti sulla stessa patologia?
Perché a mio padre sono state fatte fare per quindici giorni punture di Calciparina che poi non sono servite a niente ma magari potrebbero provocare altri fastidi?

PUBBLICATO 25/10/2018  |  © Riproduzione Riservata

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