Prendiamoli sul serio!


Assunta Viteritti (HortusAcri)

Come al solito si dividono tra apocalittici e tecno-entusiasti. Parlo di coloro che spesso dibattono (ovunque) su come giovani, ragazze e bambini (ab)usano (del)le tecnologie digitali.
Le due tipologie (decisamente più numerosa la prima)sono in tutte le fasce sociali (più o meno economicamente e culturalmente equipaggiate), in tutti i ruoli (famiglia e scuola in particolare) e in tutte le latitudini del pianeta(spesso in molti sud sono gli unici oggetti di comunicazione e di socializzazione libera in mondi privi di ogni libertà). Gli apocalittici concordano nel demonizzarlipoiché produrrebbero effetti disastrosi (perdita di concentrazione, stati di assenza, socializzazione debole o deviata, solitudine, incapacità di comunicare e altre cose anche più gravi). Gli entusiasti (spesso esperti di tecnologie, aziende informatiche nazionali e internazionali, patiti del web e altri ancora) ne sottolineano gli enormi effetti positivi(aumento della concentrazione, crescita delle sinapsi neurali, connettività sociale e altri aspettiancora più entusiasmanti). I primi vedono solo corpi chiusi, isolati e curvi, i secondi vedono solo corpi connessi e aperti. Gli apocalittici e i tecno-entusiastili ritroviamo sempre in azione ogni volta che una tecnica prende forma sociale. Tanti nel tempo contro la radio, la televisione, la stampa, il cinema, la catena di montaggio, e poi la robotica, l’intelligenza artificiale e, andando indietro, tanti quelli contro la ruota o il fuoco e, allo stesso tempo, tanti quelli entusiasti pronti a esaltarnepregi e furore innovativo. Non prendo parte in questa (importante) controversia, mi interessa cosa ci fanno i giovani, le ragazze, i bambini e le bambine con le tecnologie digitalie cosa queste tecnologie fanno con loro. Le tecnologie digitaliper giovani e giovanissimi non sonouna scatola chiusa, sono scatole aperte, vitali, interessanti,sono oggetti ludici:loro sanno già cosa farci. La socializzazione a questi oggetti spessonon sorge in casa e non sorge a scuola, si sviluppa e si alimentatra i pari.Attraverso questi oggettiincontrano loro stessi e gli altri (foto e video) ecostruiscono la loro immagine e identitànel mondo. C’è però un problema. Gli adulti attorno a loro, in famiglia e a scuola, spesso (troppo spesso), non hanno analogheabilità, intenzioni e conoscenza pratica. La scuola (troppo spesso) poco sa e troppo spesso giudica (sempre male) l’uso delle tecnologie per giovani e giovanissimi. Eppure sono i 15enni che con gli smartphone (con milioni di video e immagini) stanno producendo il moto globale contro il pericolo del cambiamento climatico, si scambiano immagini e messaggi che in frammentiminimali di tempo (neanche percepibili)raggiungono chiunque in qualunque parte del mondo. E poi cosa dire delle complesse competenze digitali che sviluppano nell’uso dei tanti social? Video, montaggio di immagini e suono, uso di linguaggi plurali, scambio di simboli, di immaginari e creazione di mondi (certo non sempre e non tutti buoni). Ma dove sono gli adulti esperti e solidali che con loro dibattono, praticano, sperimentano? Generazioni troppo lontane procurano distanze che si trasformano in divari. I più giovani hanno bisogno di adultidi riferimento esperti che accanto a loro giocano e sperimentanocon le tecnologie. Hanno bisogno di adulti che li prendono sul serio. Anche di questo ha bisogno la scuola. |
PUBBLICATO 23/09/2019 | © Riproduzione Riservata

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