Lucania jonica: l’interno come egemonia


Pino Suriano

Da Rotondella, paese collinare dell’interno lucano affacciato sul mare, mi iscrissi nel 1994 al Liceo di Nova Siri, nuovo centro costiero che era allora, oggi molto meno, in positivo fermento di sviluppo.
Fu quello il momento in cui noi dell’interno incontravamo la costa, i nostri coetanei di Policoro. L’apparente paradosso su cui vorrei puntare l’attenzione è questo: in quell’incontro tra diversità, a dominare “culturalmente” siamo stati noi. Noi, paesani dell’interno, abbiamo certamente ammirato e invidiato le loro novità: dalle boutique ai primi pub irlandesi che sorgevano a Policoro, ma di fatto si sono imposte le canzoni dei cantautori che cantavamo noi, l’idealizzazione dei nostri prodotti gastronomici, il nostro modo di fare ironia, le nostre narrazioni sui personaggi del paese, forse un certo nostro modo, tra l’ironico e il decadente, di sentire e raccontare la vita. Perché questa “egemonia” (uso volutamente una parola di peso)? Ripensandoci aveva forse a che fare con un certo vantaggio aggregativo: quando uno di noi prendeva la chitarra, tutto il gruppo di paese conosceva già quella determinata canzone, già cantata mille altre volte insieme, e così era impossibile che non si imponesse anche con gli altri. A prevalere, diciamo così, era un principio di maggioranza numerica, perché in paese eravamo già gruppo, e le nostre narrazioni avevano già una struttura compiuta, comica, che “funzionava” già. E poi c’era, non meno importante, un certo orgoglio di appartenenza: noi avevamo qualcosa da comunicare come “nostro”, loro no. Tutto ciò per dire che c’era e forse c’è ancora una forza culturale, nell’interno, che ha a che fare con dinamiche aggregative e forse con i suoi spazi ristretti, con l’impossibilità di non incontrarsi, con quell’essere costretti a ritrovarsi che, nel bene o nel male, ti genera o degenera. Ma soprattutto, è questo che mi sorprende, tutto questo affascina. L’interno è un luogo di umanesimo facilitato, di continuo stimolo alla critica e alla condivisione, perché l’altro ti riguarda sempre: per parentela, per vicinato, anche nella forma dell’invidia e del gossip di paese. Qual è dunque il punto cruciale dell’Italia interna? Non so trovare parola più adatta di quella usata su queste pagine da Andrea Di Consoli: il senso. Nell’interno c’è un rapporto particolare con il senso della vita, ci sono tempo e spazio per interrogarsi sul chi sono e dove vado. In questi tempi di calo delle vocazioni, nell’interno della Basilicata ci sono paesini di pochi abitanti che hanno dato i natali a sei sacerdoti (più due suore). È una notizia immensa, secondo me, e c’entra con la questione di cui si parla qui. Nella costa, per capirci, le vocazioni mancano da anni. Quanta creatività può ancora generare questa “costretta vicinanza” alla domanda di senso? Quanta arte? O al contrario, cosa saremo quando l’avremo persa per sempre con i nostri paesi? Ho domande e non risposte su questo interno che si difende non per “nostalgia”, ma per una sua sorprendente, non ancora soppressa, egemonia? POST SCRIPTUM: Mentre scrivo penso al fatto che nella nostra costa jonica lucana non si è mai imposta una tradizione gastronomica del pesce, come a Taranto. Se ci chiedono della migliore cucina, cominciamo a parlare dei prodotti dell’interno. Anche questa, a suo modo, è egemonia. |
PUBBLICATO 01/09/2020 | © Riproduzione Riservata

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