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Serra Vuda, da sito geologico a straordinario sito archeologico

Foto © Acri In Rete
Massimo Di Salvatore
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Acri in rete, grazie anche all’interessamento del direttore responsabile, geologo Roberto Saporito e del collaboratore prof. geologo Francesco Foggia, continua a seguire con attenzione gli studi e le ricerche su alcune particolari rocce rivenute in località Serra Vuda. Oggi ospitiamo un interessante scritto del prof. Massimo di Salvatore. La settimana scorsa, il segretario della nostra associazione, Francesco Foggia, ci ha dato la notizia del convegno Zerzura meeting “Silica ‘21”, tenutosi presso il Planetario e Museo del Cielo e della Terra di San Giovanni in Persiceto (Bologna), il 9 e 10 ottobre 2021, nel corso del quale il geologo Gian Paolo Sighinolfi ha anticipato i risultati di un suo studio dal titolo Multidisciplinary study on vitrified rocks from Serravuda (Acri, Italy). First evidence of vitrified forts in Southern Mediterranean?, che verrà a breve pubblicato, probabilmente sulla rivista internazionale “The Journal of Archaeological Science”. Presente al convegno assieme agli amici Francesco Foggia e Giovanni Turano, membri della associazione A.C.R.I., ho avuto modo di partecipare al dibattito e sottolineare ai presenti la straordinaria importanza, anche sul versante storico e archeologico, delle analisi geochimiche e mineralogiche effettuate dal prof. Sighinolfi. Dal confronto con i dati di altre ricerche effettuate dagli studiosi presenti al convegno, e dal dibattito che ne è seguito, possiamo avere certezza che le rocce fuse (“vetrificate”) trovate sulla collina di Serravuda, sino a ora ritenute per lo più esito di eventi naturali, sono in realtà il prodotto di una rara, complessa e raffinata tecnologia, quella nota sotto la denominazione di “vitrified forts” o “forti vetrificati”. Questa tecnologia antica, solo di recente ricostruita e compresa in modo soddisfacente, anche grazie ai metodi dell’archeologia sperimentale, è nota ed è stata studiata solo in alcune zone dell’Europa settentrionale, della penisola scandinava, del Regno Unito e del Portogallo. Proprio alla vigilia del convegno, dobbiamo a Giovanni Turano una segnalazione particolarmente preziosa; un articolo di pochi mesi fa dedicato al forte svedese di Broborg, una struttura fortificata sotto molti aspetti simile alla nostra (John S. McCloy et alii, Reproduction of melting behavior for vitrified hillforts based on amphibolite, granite, and basalt lithologies, in “Scientific Report” 7 gennaio 2021, 11:1272; riporto qui di nuovo il link: https://www.nature.com/articles/s41598-020-80485-w). L’articolo riporta i risultati di un ampio lavoro interdisciplinare e dimostra l’idoneità dei frammenti della struttura muraria vetrificata, data l’alta percentuale di minerale ferroso in essi contenuto, a essere datati con indagini archeomagnetiche (archaeomagnetic dating). Anche noi, a partire dal lavoro citato di Sighinolfi, dovremo seguire questa strada, accompagnando le analisi archeometriche di laboratorio con le opportune attività di scavo archeologico. Ritornando sulla collina di Serravuda, troviamo dunque ad Acri il primo caso nel Mediterraneo antico, a nostra conoscenza, dei resti di una fortificazione realizzata con mura rafforzate attraverso la vetrificazione di particolari materiali lapidei, assemblati con un assortimento non casuale ma mirato di minerali, volto a conseguire questo particolare effetto.Oltre che rendere molto più resistente il muro, il risultato di questo difficile e sofisticato procedimento, con l’evidente impatto visivo prodotto, potrebbe anche aver rivestito una significativa e interessante valenza simbolica. E anche quest’ultima, assieme agli elementi strutturali, di uso e di frequentazione, sarà certamente da indagare, una volta che verremo a conoscenza dell’epoca in cui il manufatto fu prodotto, applicando, si ripete, i metodi già messi in pratica e illustrati nel citato articolo sul forte di Broborg. Dunque, al di là dei risultati inaspettati e sorprendenti che ancora probabilmente ci attendono, questa straordinaria scoperta assicura e conferma due dati fondamentali: da una parte la cultura e in particolare la grande competenza tecnologica del popolo che nell'antichità abitava l'altopiano (prima di tutto gli Enotri, poi gli altri che sono seguiti, i Bruzi in particolare), dall’altra, il grande valore delle risorse in esso contenute, un valore tale da richiedere un investimento e un impegno così rilevanti anche sul piano simbolico, cioè la costruzione, presso una delle sue estremità settentrionali, per la protezione di tali risorse, di una fortificazione "vetrificata". Ora, mi pare che spetti sempre di più alle autorità competenti il compito istituzionale e urgente di proteggere questo patrimonio, sia nel caso specifico di cui stiamo parlando sia nel suo insieme. Prof. Massimo Di Salvatore

PUBBLICATO 15/10/2021 | © Riproduzione Riservata





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