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In Calabria condizioni di rischio diversificate

Foto © Acri In Rete
Roberto Saporito
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Giulio Iovine è ricercatore Cnr Irpi di Rende nonché presidente dell’ordine dei geologi della Calabria.
D. Presidente Iovine, ancora una frana con morti. I calabresi si chiedono se sono al sicuro.
R. L’evento di dissesto geo-idrologico dello scorso 26 novembre a Casamicciola, sull’isola di Ischia, ha riportato bruscamente alla memoria di molti il disastro di Vibo Valentia del luglio 2006, o quelli di Sarno del maggio 1998, e di Giampilieri dell’ottobre 2009 per limitarci solo ad alcuni esempi recenti. Ci sarebbero, purtroppo, tanti altri casi da citare, perché simili disastri si sono ripetuti molte volte nel nostro Paese, senza mai portare all’adozione di serie politiche di previsione e prevenzione, come peraltro prescrive la legge istitutiva della Protezione Civile. Con le opportune differenze nei contesti geologici, questi esempi ci dovrebbero insegnare che il territorio può essere tanto la nostra casa e darci sostentamento, quanto la nostra tomba. Tutto dipende dal rispetto che gli portiamo, e dall’utilizzo che ne facciamo. Se ci affidassimo saggiamente alle conoscenze geologiche (ma anche di altre discipline, per le parti di competenza) e alla pianificazione, potremmo dormire almeno nella convinzione di aver fatto tutto il possibile per minimizzare il “rischio”. Sarebbe, cioè, minima (mai nulla) la possibilità di contare vittime e lamentare danni ai nostri beni. Diversamente, decidendo di fare ciò ci pare (perché le norme devono essere sì rispettate, ma sempre dagli altri..), ci illudiamo di essere più furbi, ma in realtà prepariamo il campo a nuove tragedie. Che colpiranno noi stessi, i nostri cari e anche chi non c’entra niente con le nostre malefatte. In Calabria, è quanto mai essenziale l’adozione di serie politiche di utilizzo del territorio, che tengano nel dovuto conto i vari rischi naturali da quello legato ai terremoti, a quello per frane e alluvioni, per mareggiate, per maremoto. I Calabresi, come tutti i cittadini italiani, devono sapere che esistono già delle conoscenze specialistiche per guidare l’utilizzo del territorio in maniera da rendere minima l’esposizione ai rischi. Tali conoscenze dovrebbero essere ulteriormente approfondite, con priorità da stabilire secondo criteri tecnici e politici. Se questo bagaglio di conoscenze sarà effettivamente efficace, dipende poi dai comportamenti dei singoli e dalle scelte delle autorità preposte. Per concludere, non posso rispondere alla sua domanda genericamente, perché le condizioni di rischio sono estremamente diversificate da punto a punto del territorio regionale. Vi sono, anche in Calabria, alcune zone più esposte al rischio, e altre meno. È fondamentale fare in modo che ciascuno sappia in quali condizioni si trova la propria abitazione, l’ufficio, l’ospedale, o la scuola frequentata dai figli, e come bisogna comportarsi prima, durante, e dopo un dato evento potenzialmente distruttivo. In troppi casi, queste informazioni sono ben conservate nei Piani di Protezione Civile comunali (o mancano addirittura), mentre la popolazione non è preparata ad assumere comportamenti adeguati in occasione di nubifragi, alluvioni, eventi franosi, terremoti ecc., perché non si fanno quasi mai le esercitazioni (che andrebbero effettuate, con buona frequenza, già dalle scuole dell’infanzia), inserendo questi argomenti nei piani di studio delle scuole. Ancora, si potrebbe prevedere, finalmente, l’obbligo del cosiddetto “fascicolo del fabbricato”, per informare dettagliatamente proprietari e inquilini riguardo all’esposizione ai rischi degli edifici, oltre che sulle caratteristiche dei materiali su cui sono costruiti, sul progetto e sull’effettiva corrispondenza a quest’ultimo di quanto costruito.
D. Mai come in questo momento la figura del geologo viene valorizzata per la conoscenza del territorio e per la prevenzione.
R. I geologi conoscono bene il territorio e sanno individuare, da tanto tempo ormai, le zone maggiormente esposte a questi tipi di problemi. Sanno, cioè, indicare, su opportune carte tematiche, “dove” aspettarsi che simili fenomeni possano verificarsi con diversa probabilità. Per alcuni tipi di eventi, le conoscenze sono talmente avanzate che riusciamo anche a prevedere, con una certa approssimazione, “quando” essi potrebbero verificarsi. Nel complesso, tali competenze specialistiche consentono ai geologi di definire quali zone del territorio sono più o meno esposte al rischio, cioè alla possibilità che possano esserci danni o vittime. Siamo tutti abituati, ormai, alle previsioni del tempo per i prossimi giorni, o addirittura per le settimane o i mesi a venire. Nessuno più si meraviglia di questa capacità, maturata dai meteorologi, anche se le previsioni sono intrinsecamente caratterizzate da livelli di accuratezza spaziale e temporale non estremi e, infatti, non sempre ci indovinano, come il mitico colonnello Edmondo Bernacca ci aveva insegnato. Ci sorprendiamo, invece, e diffidiamo ancora dell’analoga capacità previsionale, specifica delle Scienze Geologiche, che riguarda molti tipi di fenomeni naturali potenzialmente distruttivi, e che dovrebbe essere utilmente impiegata per indirizzare le scelte di urbanizzazione e quindi di pianificazione. Dobbiamo ricordarci, però, che non esiste un posto sulla Terra caratterizzato da rischio nullo: ovunque decidiamo di metterci, saremo esposti a qualche livello di rischio per una serie di possibili conseguenze legate a molteplici tipi di fenomeni, spesso indipendenti. Per esempio, se scegliamo un posto poco minacciato dalle frane, esso può comunque essere interessato dagli effetti di terremoti, o maremoti, o di chissà cos’altro. Non dobbiamo, quindi, pensare banalmente di impedire l’uso del territorio sulla base della pretesa, irrealistica, di rischio zero. Al contrario, dobbiamo selezionare le zone da utilizzare in base ai diversi valori di esposizione ai rischi, adottando opportuni criteri di mitigazione. Per quest’ultima, sono disponibili diversi approcci, ormai consolidati in letteratura, che dovrebbero essere impiegati in saggia combinazione tra loro - come fa un cuoco con gli ingredienti di una ricetta, o un medico con le medicine per curare una malattia. Approfitto per dire che dovremmo fare grande attenzione alla scelta delle parole, soprattutto quando si fa informazione e ci si rivolge a un pubblico non specialista. Questa è una battaglia spesso sottovalutata, anche dagli specialisti del settore. Ci abituiamo a sentir usare nomi impropri, che non descrivono correttamente i concetti. In tal modo, aumenta la confusione e si rischia di peggiorare la situazione. Per esempio, capita spesso di sentir parlare di bombe d’acqua, di frane&smottamenti (per alcuni, è ormai una parola unica), di fronte di una frana, o di messa in sicurezza (che non ha niente a che vedere con la religione). Dovremmo cercare tutti di evitare l’uso di parole a vanvera, e sforzarci di parlare più correttamente di nubifragi o violenti temporali, acquazzoni, o bombe atmosferiche, se proprio ci piace il richiamo alla guerra, di frane o smottamenti a seconda del materiale coinvolto specificando, possibilmente, anche il tipo di frana, di scarpata o piede o unghia della frana a seconda della porzione in esame, di riduzione o mitigazione del rischio (niente e nessuno può mai garantire alcuna sicurezza), e via continuando.
D. Secondo lei in Calabria viene fatta una corretta pianificazione urbanistica o anche qui imperano l’abusivismo e le irregolarità urbanistiche?
R. Come in altre zone del Paese, in Calabria convivono varie anime. Ci sono tante persone per bene, e purtroppo anche troppi furbetti, per non parlare degli interessi dei gruppi malavitosi. Quando si parla di abusivismo, si mettono assieme situazioni anche molto diverse, dalla veranda all’edificio costruito dove non era consentito. Se confrontiamo le immagini aerofotografiche riprese lungo le coste, nelle vallate e sui versanti, notiamo che, soprattutto dal dopoguerra in poi, vi è stato un utilizzo del territorio disordinato e non controllato a dovere. Emerge, pertanto, una tendenza individualista a fare ciò che mi pare, a dispetto di eventuali prescrizioni urbanistiche. Ma anche un’assenza di controlli e di provvedimenti tempestivi da parte dello Stato nelle sue varie declinazioni da quella nazionale, a regionale e locale, e a volte perfino la mancanza di pianificazione. Su quest’ultimo punto, dispiace constatare che, in Calabria, la pianificazione inerente al cosiddetto rischio idrogeologico risale, ormai, a oltre venti anni fa, essendo stata approvata nel 2001, e mai seriamente aggiornata come, peraltro, prevede la norma. Dopo la riforma delle Autorità di Bacino, e il loro accorpamento nelle Autorità di Distretto, le difficoltà di reperimento di informazioni sui rischi così come i tempi di evasione delle pratiche sono aumentati, per la Calabria, al punto che, come Ordini professionali, registriamo continue e vibranti lamentele dai nostri iscritti. Purtroppo, malgrado i tentativi di avere un confronto costruttivo con il Segretario dell’Autorità di Distretto competente per territorio, e pur avendo segnalato, ormai da mesi, in maniera analitica e puntuale, tutta una serie di criticità, e fornito proposte per la loro soluzione, niente sembra poter smuovere l’inerzia della controparte. In tal modo, aumenta la probabilità che i tecnici possano commettere sviste o errori nelle valutazioni di rischio di un determinato settore del territorio, con le responsabilità penali che ne possono derivare in caso di disastro. In altre parole, la gravità delle responsabilità non è allo stesso livello per tutti i soggetti. Un conto è il singolo cittadino che, per ignoranza o per convenienza, costruisce un edificio dove non sarebbe permesso. Poi ci sono gruppi di potere che speculano e devastano il territorio. Questi casi originano spesso situazioni di rischio lì dove prima non esistevano, o ne incrementano la gravità. Pertanto, sono da combattere e mai condonare. Altro è invece il caso dello Stato che non fa il proprio dovere di pianificazione, di controllo, e di intervento per ripristinare condizioni di legalità. Che esempio dà in tali situazioni? Come si può pretendere dalla popolazione il rispetto delle norme, se poi è proprio lo Stato che periodicamente finisce per non rispettare né le norme né i cittadini onesti (quelli che le norme si sforzano di osservarle)? La carenza di pianificazione è una piaga che riguarda molti comuni italiani, non solo per gli aspetti strettamente urbanistici (basti vedere a che punto siamo con i piani di emergenza di protezione civile, e con la microzonazione sismica). Anche sulla qualità degli strumenti di pianificazione andrebbe aperta una seria riflessione, ma sarebbe un discorso troppo tecnico: in estrema sintesi, un piano fatto male può ostacolare inutilmente lo sviluppo socio-economico di un territorio, oppure essere altrettanto letale quanto la mancanza di pianificazione. Mi auguro che, anche su questo aspetto, si cominci finalmente a ragionare seriamente nelle sedi opportune. Riguardo ai mancati controlli e interventi, è davvero ridicolo aspettarsi che simili azioni vengano attuate da chi, per sopravvivere politicamente, ha bisogno del consenso di quelle stesse persone che sarebbero infastidite dai provvedimenti sanzionatori. Non ha funzionato con tanti sindaci per tanto tempo, né mai funzionerà. Evidentemente, gli illuminati che ci governano non arrivano a comprendere queste disfunzioni oppure convengono a qualcuno. Al contrario, ogni tanto lo Stato decide perfino di sanare gli illeciti commessi, utilizzando lo strumento dei condoni (che non esiste nei Paesi civili). Ovviamente, il fatto che si sforzino di chiamarli con nomi diversi non significa che viene a cambiare la sostanza. I cittadini capiscono bene di cosa si tratta, e se ne vedono le conseguenze ogni volta che soltanto si accenna a simili provvedimenti. Una volta condonate, le aree edificate abusivamente devono anche essere servite da varie infrastrutture (raccolta di acque superficiali, acquedotto, fognature, rete gas ed elettricità, ecc.) che non erano inizialmente previste, e hanno un costo per l’intera comunità. In altre parole, pagano anche quelli che rispettano le leggi. Un’ultima riflessione su questo punto: in tanti casi, chi realizza un’opera abusiva genera una condizione di rischio che prima non esisteva, e può perfino determinare situazioni di rischio in altre zone del territorio, prima non soggette ad alcun problema. Chi costruisce un’opera abusiva, insieme a chi ne consente la realizzazione o il condono, è quindi potenzialmente responsabile di assassinio o strage e di questo crimine andrebbe loro imputato, senza alcuna possibilità di prescrizione.
D. Pensa che i fondi del Pnrr saranno efficacemente utilizzati per la messa in sicurezza del territorio?
R. Per quanto mi risulta, e spero di essere smentito, al momento non è stato ancora speso nemmeno un centesimo dei fondi stanziati. È inoltre opportuno sottolineare che l’aliquota di fondi destinati alla mitigazione del rischio geo-idrologico è davvero esigua, rispetto al totale del finanziamento elargito dall’Europa all’Italia. Per usare questi fondi, dovremmo essere in grado di fare la progettazione e poi appaltare i lavori e concluderli, secondo norme, tempi e criteri abbastanza impegnativi. Nel Mezzogiorno, le difficoltà per realizzare tutto ciò sono generalmente maggiori rispetto ad altre zone privilegiate del Paese, dove per troppi decenni si sono concentrati gli investimenti e le cure più amorevoli dello Stato. Tutto ciò, a discapito dei territori meridionali, abbandonati a sé stessi quasi come una colonia interna, da sfruttare solo come serbatoio di voti, di manodopera per le industrie settentrionali, e come consumatori di prodotti realizzati altrove. Non ho, purtroppo, la sfera di cristallo per poter prevedere cosa succederà di questi fondi, nella speranza che al Sud arrivi davvero la parte che l’Europa aveva deciso di destinare. Alcuni temono, infatti, che la ripartizione venga attuata con criteri penalizzanti per il Mezzogiorno, magari mascherando queste forzature con modifiche all’assegnazione di altri fondi nazionali di carattere ordinario. Da meridionali, dovremmo smetterla di farci trattare in questo modo, e cominciare a pretendere parità di diritti con il resto del Paese pronti ad assumerci i conseguenti doveri e responsabilità.
D. La regione si avvaleva del servizio geologico. Perché è stato soppresso e perché non viene istituito nuovamente?
R. Non saprei dare una valida spiegazione per la mancanza di un servizio geologico presso la Regione Calabria. Come Ordine professionale, abbiamo sollecitato più volte, anche in occasione delle campagne elettorali regionali, la costituzione di un Servizio Geologico perché lo riteniamo fondamentale per l’approfondimento e la condivisione delle conoscenze sul territorio, e il supporto alle attività dei tecnici calabresi. Non sarà un caso se le regioni più virtuose quelle, per intenderci, a cui facciamo di solito riferimento quando vogliamo fare esempi di qualcosa che funziona bene, come la sanità o l’istruzione, hanno anche dei servizi geologici di eccellenza, conoscono meglio il proprio territorio e lo gestiscono in modo più attento ed efficiente. Di per sé, un tale ufficio non garantisce totalmente da abusi e utilizzo improprio delle geo-risorse, ma sicuramente fornirebbe un importante supporto anche ai vari dipartimenti che, in varia misura, si rapportano con questioni territoriali (es. per la gestione delle acque superficiali e sotterranee, le problematiche di inquinamento delle falde e del mare, l’utilizzo dei materiali naturali nell’ambito delle attività edilizie, la pianificazione e la mitigazione dei rischi naturali). La sua domanda mi riporta alla mente anche un altro grande assente, per i geologi calabresi, ovvero il Centro Cartografico. Un tempo esisteva, essendo stato implementato con l’impiego di risorse umane, strumentali e finanziare di non poco conto. Purtroppo, malgrado la sua rilevanza per le attività tecniche e di ricerca, e senza comprensibili motivazioni, esso è stato progressivamente depotenziato, fino a scomparire sostanzialmente dai radar. Questo servizio, con le sue risorse cartografiche, aerofotografiche, e le sue banche dati, non può che essere al centro dell’azione riformatrice di chiunque voglia davvero puntare alla corretta gestione del territorio e a una seria mitigazione dei rischi.

PUBBLICATO 05/12/2022 | © Riproduzione Riservata





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